area 137 | chinese identity | design focus: green

Allungare la vita di un prodotto, riutilizzandone almeno in parte le componenti, significa allontanare un po’ più avanti nel tempo il suo degrado a rifiuto e al necessario smaltimento. Un’azione concreta che, aggiungendo un tratto al ciclo di vita delle cose, rappresenta una prima riconversione dei modelli produttivi e di consumo verso la sostenibilità. Nello stesso tempo, ogni oggetto realizzato con parti di riuso costituisce un piccolo contributo nel percorso di transizione verso una nuova estetica del prodotto industriale, che sostituisca i principi di programmazione e standardizzazione che ne hanno governato la qualità per decenni, con quelli della imprevedibilità e della diversità.
Proprio per queste ragioni, ideologiche e pratiche, fornire agli oggetti una seconda vita è una delle strade maggiormente praticate dalla sperimentazione progettuale contemporanea. Si tratta di una modalità ricca di prospettive capace, però, di ingenerare altrettante perplessità. Gli oggetti che presentano componenti riutilizzate sono, ancora oggi, prevalentemente percepiti come poco attraenti, espressione dell’aspetto più minaccioso dell’ecologismo, quello che si associa ad un’idea di privazione, pauperistica ed anti-edonistica. Se però si va alle origini della prassi dell’assemblaggio progettuale, inevitabilmente ci si imbatterà in figure come quella di Achille Castiglioni, che al contrario, esprime la componente più ilare e giocosa del design contemporaneo. Un esempio di questa attitudine di Castiglioni si ritrova già nel suo primo progetto di cui si abbia nota: un’esercitazione didattica del 1940 svolta da studente al Politecnico di Milano. A fronte della solennità del tema, il progetto per un centro culturale rionale fascista, il modello era realizzato, molto meno retoricamente, utilizzando due fette di formaggio che rappresentavano i regolari volumi edificati, le cui aperture in facciata corrispondevano, più o meno, ai fori del gruviera.

Dopo questo promettente inizio, come ben noto, l’intera carriera di Castiglioni è proseguita con la magia di un saltimbanco, attraverso rimescolamenti che restano tra i migliori esempi del design italiano: selle di biciclette trasformate in sedute dall’equilibrio instabile, ruvidi sedili da trattore in eleganti sgabelli domestici, fari di un’utilitaria messi a fare da piantana luminosa per il salotto. La sua ironia progettuale è così pantagruelica da coinvolgere nel gioco dei riferimenti cose piccole e quotidiane, come le formine da budino trasformate nella cupola di un cappello di feltro per Borsalino, ma anche capolavori tra i più celebrati della storia dell’arte, come la Pala di Brera di Piero della Francesca, che nel 1472 mai avrebbe potuto immaginare che i suoi sforzi di sintetizzare nella forma perfetta dell’uovo, contemporaneamente, l’idea della vita che nasce e il centro geometrico della costruzione prospettica, si potesse trasformare in un più prosaico apparecchio di illuminazione che del riferimento riprende, per estrema ironia, anche il nome: Brera appunto.

L’idea del procedere progettuale come un’operazione di rimontaggio, ottenuta prendendo parti da un mondo per spostarle in un altro, è stata approfondita e ripresa da tanti. Droog Design negli anni Novanta si affermò proprio grazie ad una serie di oggetti, al limite tra la produzione industriale e l’espressività artistica, che hanno, proprio nella migrazione di parti e riferimenti, il loro principale motivo generativo. Già una delle prime icone del gruppo olandese è una sorta di manifesto critico al processo incessante di consumo degli oggetti: la Chest of Drawers di Tejo Remy del 1991, una cassettiera che riesce a trasferire in un oggetto il concetto stesso di casualità. Tanti cassetti riciclati di dimensione, geometrie e provenienze differenti, sono accatastati casualmente e tenuti assieme da una semplice cinghia di iuta.

Possiamo chiudere con Droog Design attraverso l’estremismo concettuale della panca Tree-trunk bench di Jurgen Bey in cui, essendo la parte orizzontale della seduta costituita da un tronco di albero, l’unica parte che viene effettivamente prodotta e venduta (poi ognuno potrà aggiungere di suo il tronco) sono tre stampi in bronzo di schienali di classiche sedute. Per esemplificare la dimensione attuale del riuso possiamo riferirci a due ultimi esempi, che spostano l’attenzione dal singolo risultato dell’assemblaggio progettuale al processo strategico generativo di infinite possibili soluzioni di prodotto, concentrando l’attenzione sul concetto di manifattura. Il primo è un progetto sviluppato durante la Bejing Design Week 2013, in cui il designer olandese Sander Wassink, ha lanciato il Dashilar Flagship Store in cui, con la collaborazione di artigiani e designer locali, ha tagliato e ricucito vecchie scarpe realizzando calzature formate con pezzi precedenti.

Un ultimo progetto è Transparent Tools del giovane designer Thomas Thwaites. Progetto che ridefinisce il modo di acquistare un piccolo elettrodomestico. Gli utensili non vengono più acquistati direttamente, ma autoprodotti. Ciascun oggetto viene venduto solo sotto forma di semplici schemi di montaggio su un foglio di carta. Tali istruzioni suddividono le varie componenti con stringhe di ricerca di parti acquistabili direttamente da eBay e link per scaricare modelli per la stampa tridimensionale attraverso processi di autoproduzione. Le istruzioni di progetto danno per scontato che verranno fatti degli adattamenti; nel bollitore, per esempio, la caraffa di vetro di recupero può essere sostituita da una brocca di ceramica, da un thermos di metallo o da un altro recipiente a prova di calore che si adatti al coperchio a stampa tridimensionale, che, a sua volta, può essere modificato per adattarsi a un altro contenitore.