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Anticipazioni e sperimentalismi della geometria “non lineare”.
L’applicazione del computer in architettura porta a generare forme in continuo sviluppo, il suo uso anche parziale, consente di attivare un processo creativo che da una certa volontà ideativa iniziale, giunge alla ri-scrittura dello spazio architettonico, secondo canoni dimensionali e schemi strutturali completamente nuovi: se questa affermazione fosse vera ed inconfutabile vorrebbe dire che la demarcazione temporale tra un tipo di spazialità ed un altro è legata all’uso di software parametrici e che il cambio di passo nell’architettura, e la sua possibilità di esprimere valori di grande complessità, è dovuta alla temporalità con cui i mezzi tecnici e di rappresentazione si sono evoluti.
La questione che si pone è quindi quella di chiarire come e quando si è attuata la possibilità di esprimere una complessità spaziale e se sia realistico pensare che l’uso di queste forme in architettura sia legato alla libertà espressiva che la tecnologia può offrire. La sfida per la teoria e la pratica architettonica contemporanea è quella di sviluppare in modo sempre più sofisticato gli ambiti di questo sviluppo tecnologico, non semplicemente per attingere ad un nuovo assortimento di forme libere, ma per consentire nuove relazioni spaziali in grado di interpretare un diverso sistema di valori del vivere e dell’abitare.
L’ideale classico di realizzare forme in architettura con caratteristiche di permanenza e immutabilità si è da sempre contrapposto a ricerche di espressiva gestualità caratterizzate da una forte carica evocativa e simbolica: alcuni architetti si sono concentrati sulla interpretazione di una semplicità estrema dello spazio architettonico, attraverso una progressiva riduzione degli elementi della tettonica classica e una armoniosa perfezione, mentre altri hanno abbandonato l’intelaiatura trilitica della costruzione a favore di geometrie e spazialità sempre più sorprendentemente complesse, ribaltando per sempre i concetti di superficie, limite o separazione, fino a giungere a derive plastiche alla stregua della modellazione scultorea. La geometria come strumento di controllo della complessità.
È bene precisare che a questi due diversi atteggiamenti compositivi corrispondono anche due diversi metodi di elaborazione grafica: da un lato una geometria che scompone e razionalizza lo spazio in volumi semplici e misurabili, di tipo euclideo e cartesiano; dall’altro la geometria definibile “non euclidea” che racchiude in sé sistemi di rappresentazione di tipo non lineare, che vanno dalla geometria ellittica, topologica, o frattale frutto di teorie e nozioni tecnico matematiche in grado di imitare e rappresentare i fenomeni della natura, relegando le figure semplici ad ambiti di assoluta eccezione.
La geometria “non euclidea” e le relative declinazioni scaturiscono da una diversa relazione tra l’architettura e i diversi ambiti scientifici e tecnici che vanno dalla matematica, alla astronomia fino alla biologia: convenzionalmente la forma architettonica è stata da sempre concepita ed idealizzata come rappresentazione di uno spazio statico e rappresentata secondo le nozioni di proiezioni rigide di ribaltamento. È una idealizzazione della realtà e si fonda sul razionalismo filosofico, ma già a partire dal 1830 la scienza mise in evidenza la limitatezza di questa concezione, opponendo al concetto di linearità, la varietà dei processi “non-lineari” presenti in natura, dimostrando che i fenomeni naturali avvenivano in spazi anisotropi e non omogenei, e in continua deformazione.
Malgrado sin dai tempi di Platone, i filosofi e gli scienziati abbiano pensato che le strutture primarie fossero solidi derivanti dalla geometria euclidea (sfere, cubi coni ecc..) alla luce della matematica moderna, è realistico affermare che queste si basino su forme increspate, irregolari, discontinue o meglio dette “non lineari”. Per fissare il concetto di spazio complesso non lineare è bene precisare che l’accezione storico-matematica di questo termine oscilla nel tempo seguendo parallelamente l’evoluzione delle scoperte scientifiche, delle tecniche costruttive e la volontà di rappresentare, imitandole, le forme della natura.
Vi è una differenza cruciale tra la geometria discreta dello spazio Barocco, fatta di punti multipli, e la continuità spaziale topologica di tipo non lineare che rappresenta una molteplicità senza punti fornita dalla grafica computerizzata.
San Carlo alle quattro Fontane è costituito da un insieme di volumi primitivi che accostandosi in modo tangente creano una superficie seppur complessa di tipo continua, mentre una superficie topologica è rappresentabile con un insieme di superfici concave e convesse, flessuose, relazionate tra di loro da carichi ponderali che variando modificano l’assetto generale dell’intera struttura architettonica. Ad ogni singola variazione di pesi ponderali corrisponde una trasformazione dell’assetto geometrico originario.

In geometria le trasformazioni non lineari in generale conservano solo le proprietà geometriche della connessione e della vicinanza dei punti. Esse sono ottenute immaginando di disegnare su un flessibile foglio di gomma una figura e di manipolare in ogni modo possibile il foglio senza strapparlo, incurvandolo, piegandolo, torcendolo. Sono delle trasformazioni continue non-lineari.
La definizione di spostamenti e deformazioni non lineari risulta essere molto importante in architettura poiché stabilisce la netta demarcazione tra esempi di strutture controllate mediante la geometria euclidea ed esempi la cui rappresentazione è frutto di un modello matematico dinamico; in campo matematico ad esempio, solo recentemente si è scoperto come le superfici possano essere utilmente impiegate come modelli dimostrativi, si è osservato infatti che lo studio di funzioni complesse risulta più agevole se visualizzato tramite l’impiego di superfici rappresentabili mediante la grafica del computer.

Anticipazioni formali dello sperimentalismo strutturale.
La forma architettonica concepita fino all’800 all’interno di uno spazio bi-dimensionale di stasi idealizzata, e definita da punti fissi di coordinate cartesiane, oggi si caratterizza da tre dimensioni grazie all’uso di programmi di modellazione; tuttavia la teoria di complessità spaziale applicata all’architettura e alla sua rappresentazione, non è una novità di un recente passato, ma trova la sua origine in esperienze di sperimentazione empirica plastica che hanno anticipato di oltre cinquanta anni le teorie scientifiche, matematiche e filosofiche che avrebbero cambiato il mondo della costruzione.
A partire dalla profonda contraddizione esistente tra ricerche che potremmo definire tettoniche – a cui appartengono autori come Schinkel, Semper, Wagner o Beherens – e quelle degli esordi di Maillard, Fuller, Nervi o Wachsmann, sembra sostenibile parlare di genealogia post-tettonica di uso della geometria topologica.
Già a partire dal 1922 il tedesco Hermann Finsterlin – uno tra i primi a negare il valore espressivo della complicazione formale dovuta allo “stile” inteso come maschera di un’epoca, di una cultura o di una ideologia – intuì che le forme geometriche elementari non erano ancora state sfruttate in tutte le loro possibilità espressive, poiché i criteri con cui venivano utilizzate non includevano variazioni della forma o della scatola architettonica e si rapportavano ai tradizionali canoni di simmetria, assialità, gerarchia ecc…
Finsterlin introdusse trasgressioni alle regole consolidate in grado di scardinare la tradizionale spazialità classica, facendosi suggestionare da un mondo ricco e vitale, dove la facciata e il muro, la copertura e il soffitto si fondono; in cui le piante e le sezioni, gli schizzi non sono più rappresentabili mediante l’uso delle linee rette. Il suo concetto spaziale è basato sulla distinzione delle tre dimensioni che tende a superare la suddivisione funzionale degli ambienti per ricercare una fluida continuità. Le sue architetture i suoi schizzi, ricordano fortemente, in modo dichiarato e imbarazzante ricerche che oggi troviamo su molte riviste che si occupano di sperimentazioni e teorizzazioni dell’architettura denominata digitale. Negli stessi anni Rudolf Steiner, che non era architetto di professione, ma dotato di una solidissima preparazione scientifica, autorevole studioso di Goethe, filosofo ed epistemologo, si presentò alla ribalta internazionale con la realizzazione di circa 10 opere tutte collocate nella medesima collina di Dornach in Svizzera di cui l’opera più importante è certamente il Goetheanum; l’edificio fu progettato come sede per la divulgazione dell’Antroposofia e la sua struttura era un vero e proprio libro nel quale si materializzava il pensiero del filosofo attraverso gli elementi architettonici, ponendo così le basi all’Architettura Organica.
In seguito all’incendio che distrusse il primo edificio in legno del Goetheanum, e successivamente alla morte di Rudolf Steiner (1925), il nuovo Goetheanum venne ultimato in cemento armato con soluzioni di assoluta avanguardia tecnica e artistica.
È importante segnalare che la ricostruzione in cemento armato può essere considerata una soluzione straordinaria, in un momento storico in cui lo sviluppo delle volte sottili di Nervi e Torroja ancora non si conosceva; e mentre Erich Mendelsohn per realizzare le forme espressioniste usava il mattone Steiner teorizzava sistemi costruttivi di forme complesse con il cemento armato.
Per la manifattura dei casseri a contenimento dei getti di calcestruzzo dovette ricorrere ai carpentieri dei cantieri navali di Amburgo, avezzi ad eseguire con precisione matematica la convessità delle chiglie, mentre per lo studio delle superfici curve applicò principi matematici alle singole curvature mediante l’ausilio di formule logaritmiche specifiche. A partire dagli anni ’40 Robert Le Ricolais che può essere considerato il padre delle strutture spaziali, motivato dalla idea indistruttibile che le forme naturali siano più efficienti di quelle semplificate proposte dall’uomo, teorizzò, grazie ai suoi studi filosofici e meccanici, che muovendosi all’interno di alcuni prodigi creati dalla natura – come la conchiglia a pettine, i radiolari e i cristalli minerali – era possibile individuare un motivo geometrico significativo, frutto del risultato di una particolare azione meccanica.
A partire da questa correlazione tra principio meccanico e motivo geometrico, egli propone configurazioni strutturali alternative costituite da triangoli ed esagoni tridimensionali che caratterizzano, anticipandolo, lo sviluppo delle strutture reticolari spaziali con cui moltissimi edifici contemporanei sono realizzati grazie all’ausilo di software di calcolo a controllo numerico di nodi ed aste isostatiche (basti pensare ad esempi come l’edificio di Coop Himmelb(l)au per la BMW a Monaco o la stessa fiera di Milano di Massimiliano Fuksas). La dissoluzione del nodo in porzioni sempre più piccole, e la plasticità consentita dall’uso del cemento armato, portarono a ricerche di spazialità libere come quelle fatte da Frederick Kiesler: nell’intento di una riappropriazione di un ambiente più rispondente alla realtà e alla natura, egli dichiara la volontà “informale” di ricercare una spazialità plasmata che sottraendosi alla determinazione della forma definita, celebra l’irregolare, lo spontaneo e l’imprevedibile. Egli si fa suggestionare dalla spazialità delle grotte naturali, dalle case ipogee spostando il suo ideale verso una vivibilità ancestrale primitiva, espresso nel progetto che per 10 anni continua a sviluppare: Endless House, (nelle sue due versioni dal titolo Casa senza limite 1950, e Casa senza fine 1960) ove egli dichiara la possibilità di interagire con il mondo esterno e con la natura mediante uno spazio mutevole e ricettivo in grado di accompagnare le azioni dell’uomo nell’atto dell’abitare. Egli realizzò decine di modelli a grande scala dove sperimentava l’efficienza strutturale e le caratteristiche morfologiche dello spazio: fu tra i primi ad abolire la distinzione tra pavimento e soffitto, a favore del continuum plastico, la casa diviene un organismo vivente e pulsante espressione della libertà dell’uomo di vivere con i ritmi della natura.
Nella plasticità delle forme prima dell’utilizzo del computer si inserisce anche il Terminal di New York del 1962 di Eero Saarinen; egli realizza, sulla base di una progettazione documentabile con oltre 200 disegni esecutivi e attraverso una serie di carte delle curve di livello, una incredibile sequenza di tavole tecniche dove le doppie curvature vennero rappresentate su un reticolo a maglie regolari, da queste mappe furono poi eseguiti i disegni costruttivi e realizzati i diversi abachi degli elementi dell’opera. Questi elaborati precedono di poco l’uso del CAD, il computer in quegli anni veniva utilizzato per i soli calcoli strutturali, l’ampia copertura fu realizzata con l’ausilio di oltre 2700 conci di 26 forme diverse contraddistinte da un codice numerico, le casserature per i getti furono realizzate grazie a molteplici nervature in legno ricurve sia in una direzione che nell’altra e il tutto fu fatto con un grado di precisione ed uno scostamento degli allineamenti di pochi millimetri. La sperimentazione strutturale fu fatta su grandi modelli realizzati in legno che arrivavano anche a scala 1/5, e con simulazioni di carico empiriche. Parlando di espressionismo in una riattualizzazione del termine, si entra in un ambito di confine tra plastica e architettura ma, volendosi mantenere sul fronte dell’architettura, il problema è capire quanto il rapporto, o piuttosto la tensione, tra l’“atto del modellare” e il “processo del costruire” siano coerenti e concordi. I nuovi strumenti di cui disponiamo, ci mostrano la logica che presiede alla generazione delle forme, ma anche l’incapacità del cervello umano di seguirne e capirne l’articolazione fin nei suoi più remoti dettagli, è necessario dire che l’ apporto del digitale oggi ha spostato per sempre la nostra attenzione e il nostro sguardo è rivolto ad un futuro ove la modellazione come invenzione di una forma unica, individuale, originale, non ripetibile e la costruzione come montaggio di componenti, assoggettati a una disciplina costruttiva basata su procedimenti ripetibili e collettivi, sarà possibile.

 

Laureatasi in Architettura con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Firenze, consegue il titolo di dottore di ricerca in Processi e Metodi della Progettazione Architettonica.
Dopo una serie di esperienze in concorsi nazionali e internazionali nel 1995 comincia la collaborazione con lo Studio Archea di Firenze al quale si associa nel 1999. Alla ricerca progettuale affianca quella nell’ambito della critica e della teoria oltre l‘attività didattica.