area 128 | informal community

architect: Vigliecca & Associados

location: São Paulo, Brasil

Secondo il nostro punto di vista, il complesso residenziale è sinonimo di città e la realizzazione di abitazioni su larga scala costituisce un tassello fondante nello sviluppo della città stessa.
I progetti di architettura ad uso collettivo devono prevedere la realizzazione di settori ben distinti
e riconoscibili, per poter ben organizzare lo spazio a disposizione, in un confronto con la città reale
e nel rifiuto di ogni eroica formalità.
Riteniamo che, nella produzione residenziale, vadano rispettati i parametri di varietà e identità, obiettivo che può essere raggiunto instaurando un’onesta relazione con l’ambiente in un rapporto di solidarietà con quanto già esistente.
Il progetto si colloca nella parte sud del comune di San Paolo, nella regione della diga di Guarapiranga, e all’interno di un’area in cui si colloca una sorgente idrica protetta. La zona di intervento si estende per 5,4 ettari e si inserisce in quella che viene definita una ZEIS 1, ovvero una zona di interesse sociale speciale, caratterizzata da un’area di pubblico utilizzo e da insediamenti irregolari e abusivi. Il progetto ha come obiettivo la realizzazione di un asse verde centrale, che corre lungo il corso d’acqua esistente, e si presenta come un parco lineare, elemento attorno al quale andrà strutturandosi l’intero intervento. Il parco è pensato come un asse animato, che possa divenire elemento caratteristico dell’area e favorire, tra gli abitanti, un sentimento di identificazione con il luogo. Strutture a scopo ludico ed educativo sono collocate alle estremità dell’asse e divengono punti d’attrazione che sollecitano la circolazione; il movimento di persone generato garantisce un buon livello di sicurezza del luogo e maggior divertimento. Gli edifici ad uso residenziale, che costituiscono un elemento di raccordo tra la strada principale della zona e l’area interna del parco, dispongono di accesso su entrambi i lati per favorire la circolazione, di conseguenza, garantire una maggior sicurezza e facilitare le operazioni di manutenzione degli ambienti esterni e interni del complesso.

Each place is a place to live

interview to Héctor Vigliecca by Katia Carlucci

Katia Carlucci: Volendo mettere a confronto uno dei suoi primi progetti di social housing in Uruguay, il Complejo Bulevar, e quest’ultimo progetto in Brasile, il Parque Novo Santo Amaro V, quali diverse problematiche ha incontrato e in che modo le ha risolte?
Héctor Vigliecca: Sono state due realtà distinte, che hanno richiesto soluzioni e valutazioni diverse.
Il complesso Bulevar Artigas era pensato per la classe media, organizzato in cooperative, e richiedeva un capitale minimo per poter rientrare nel progetto. Vi era inoltre una partecipazione statale e del Ministero per l’edilizia residenziale.
L’organizzazione dal punto di vista legale e sociale, l’assunzione dei tecnici e la supervisione erano affidati a istituti privati, divenuti poi un modello oltre oceano. In qualità di architetti, abbiamo partecipato a tutte le suddette attività, concentrandoci sui progetti architettonici e urbanistici. All’epoca, il massimo era creare tipologie abitative che potessero adattarsi al mutare delle esigenze familiari; la mobilità sociale in Uruguay era infatti piuttosto bassa (normalmente un figlio sposato rimaneva a lungo a vivere con i genitori; c’erano problemi economici e molti professionisti lavoravano tra le mura domestiche). Una domenica abbiamo convocato tutti i futuri proprietari presso il più grande cinema di Montevideo illustrando, con l’ausilio di un proiettore, le diverse tipologie di abitazione possibili e lasciando che ogni famiglia elaborasse la soluzione migliore per sé.
Il risultato ha portato a 135 varianti planimetriche, per la disperazione delle imprese edili.
La realtà delle favelas in Brasile, che si collocano in aree completamente escluse dai processi di urbanizzazione, richiede una riflessione costante e continua in virtù della rapidità con cui avvengono i cambiamenti a livello sociale, non facili da comprendere. Nel caso del Parque Novo Santo Amaro V la sfida era realizzare alloggi adatti ad inserirsi in un’area ad alto rischio, occupata abusivamente. Ci serviva qualcosa di diverso dalla solita tipologia residenziale tradizionale; era necessario presentare un progetto in cui le strutture urbane fossero idonee non solo ad ospitare alloggi ma anche tutta una serie di attività di tipo civico.
I bambini dovevano salire e scendere le scale per poter accedere alla scuola. Per questo progetto abbiamo quindi proposto la realizzazione di ponti per unire l’esistente con il nuovo. Va sottolineato, in questo caso, che lo stesso governo ha condotto esperimenti per trovare una soluzione al problema.
K.C.: Quanto conta la partecipazione della comunità nelle decisioni architettoniche dei suoi progetti di recupero delle favelas?
H.V.: La comunità è solitamente presente nella fase in cui si definisce il programma residenziale.
Il grado di coinvolgimento dipende da che tipo di programma prevede il progetto e dall’efficienza dimostrata dalle organizzazioni popolari. È responsabilità del governo assicurarsi che vi sia partecipazione politica da parte delle comunità, promuovendo dibattiti su questioni diverse riguardanti il territorio.
K.C.: Quali sono i progetti più importanti che ha realizzato con lo scopo di intervenire e/o recuperare le favelas?
H.V.: Tra i nostri progetti più significativi di urbanizzazione di favelas citerei Paraisópolis, Heliópolis, Jardim Novo Santo Amaro e Jardim Vicentina (a Osasco, nell’area metropolitana di San Paolo). Le prime due sono le più grandi favelas della città, rispettivamente con 100 e 80.000 abitanti.
Secondo le strategie impiegate, abbiamo cercato di:
a. ristabilire una rete urbana ben leggibile e dotata di un sistema di trasporto pubblico coerente;
b. inserire gli elementi architettonici come se fossero cunei, evitando isolati e ampi interventi urbanistici;
c. formulare progetti di edilizia residenziale in sintonia con gli interventi urbanistici, al fine di strutturare il territorio e favorire la nascita di uno spazio pubblico dinamico.
K.C.: Circa venti anni fa in Italia si é verificato un fenomeno “eccezionale”: i centri urbani antichi che erano stati abbandonati sono stati di nuovo popolati dalla classe sociale medio-alta che li ha riqualificati. Crede che in futuro possa avvenire un fenomeno simile per le favelas? D’altronde la favela di Rio per esempio ha una bellissima vista sul mare...
H.V.: Le favelas di San Paolo, Rio e di altre città situate a nord-est del paese, sono realtà totalmente diverse, sia in termini geografici che sociali.
Nel caso di Rio de Janeiro, ad esempio, non esistono aree di dimensioni adatte per accogliere nuovi insediamenti, le favelas rappresentano quindi l’unica risposta alla domanda di urbanizzazione. C’è una bella differenza tra il processo di ripopolazione di un centro storico e lo svilupparsi delle favelas. Secondo il nostro punto di vista, le favelas diventeranno quartieri come gli altri, appartenenti alla città formale. Raggiungere tale obiettivo sarebbe già un gran bel passo avanti.
K.C.: Qual è il suo approccio frequente nei progetti per le favelas? Recupero o trasloco? Pianificazione dall’alto o partecipazione?
H.V.: Applichiamo un metodo che parte, innanzi tutto, da una lettura urbanistica del luogo e elaboriamo quindi un’ipotesi di città dalla quale poi creiamo un modello. Nella nostra prospettiva, le persone dovrebbero continuare a vivere nel luogo in cui già vivono, uno spostamento dovrebbe avvenire solo nel caso in cui questo luogo fosse soggetto a inondazioni, se ci fossero rischi di frane o ve ne sia la necessità a causa della struttura urbanistica adottata. Ogni luogo è un luogo in cui vivere.
K.C.: Crede che l’architetto contemporaneo possa trovare aspetti interessanti nella struttura di una favela?
H.V.: Niente è interessante nel sistema delle favelas, sono strutture dettate dalla miseria e consideriamo deplorevole, da parte degli architetti, il tentativo di trovare qualcosa di poetico in esse. La nostra missione non è quella di sostituire le strutture esistenti o utilizzarle come modello bensì quella di distinguere il valore di ciò che è patologico.