area 127 | identity of the landscape

Avevo un sogno.
Quando sogno, e lo faccio spesso, posso occasionalmente decidere di volare: è sempre un volo basso, topografico, quasi come una levitazione indotta, che mi permette di distinguere boschi di diversi colori, campi, urbanizzazioni, lotti, persone ed animali. I sogni sono nitidi ed in essi tutti gli elementi paesaggistici hanno un nome, come nei racconti infantili, mentre nella vita cosciente non è così semplice. Ciò è inquietante, poiché ho sempre considerato il mondo onirico molto più complesso e labile del mondo reale.
Perché non sappiamo chiamare le cose col loro nome in termini di paesaggio? Perché nel sud Europa siamo incapaci, o abbiamo grande difficoltà, nel denominare ciò che chiameremmo Paesaggismo?
Siamo coscienti della debolezza professionale che rivela l’insistenza nella definizione della disciplina paesaggistica in testi, conferenze o congressi?
In ultimo caso, la sommatoria di definizioni sul Paesaggio o Paesaggismo ha reso la domanda banale, ancor di più rispetto al contenuto delle risposte pertinenti, che tante volte cercano la luce nell’etimologia o in alcuni concetti così pieni di universalità come di mancanza d’intenzionalità (per esempio, “Il Paesaggismo è la disciplina che regola il non costruito”).
Ricordo sempre come chiarificatrice la risposta di un progettista straordinario, professore universitario, quando gli chiesi di chiarire la questione dell’identità paesaggistica. Rispose con leggero sarcasmo che da quasi venticinque anni si dedicava esclusivamente al paesaggio, in ambito professionale ed accademico, senza sapere cosa fosse esattamente.
Con il rischio di concretizzare troppo, ma con la volontà di lasciare le cose in chiaro, in merito
a quest’aspetto sono fondamentali due testi: uno, con un aroma artistico, è di Javier Maderuelo – “El Paisaje: Genesis de un concepto“, Edizioni Araba, Madrid 2005 – che già dal suo primo capitolo espone con chiarezza e senza dar luogo a speculazioni, la definizione della disciplina del Paesaggismo; il secondo, significativo e sorprendente di Franco Zagari – “Questo è paesaggio: 48 definizioni“, Mancuso Editore, Roma 2006 – in cui l’autore sonda le opinioni e differenze in merito al concetto di Paesaggismo.

Paesaggismo, Architettura del Paesaggio o Architettura nel Paesaggio.
Il termine Paesaggismo, coniato in Francia per definire tale disciplina, molto più preciso di quello di origine americana “Landscape Architecture” (Architettura del Paesaggio), mette a confronto coloro i quali si sentono più a loro agio, per appartenenza formativa o per supposto prestigio, con la parola Architettura.
A tal proposito è interessante cercare di chiarire il significato e la pertinenza di termini che spaziano dal Paesaggismo, all’Architettura del Paesaggio, alla diafana Architettura nel Paesaggio, tante volte confusa con altre discipline, sempre da un’ottica prossima agli studi architettonici.
È frequente l’analisi odierna della disciplina a causa della sua trasversalità concettuale, della sommatoria di strati di informazione che gestisce, della capacità di rispondere adeguatamente a problematiche di rinnovata impostazione.
Negli ultimi tempi si è attribuito al Paesaggismo un ruolo preponderante per affrontare le necessità complesse di antichi territori. Allo stesso modo invece, visioni conservatrici, pregiudizi sulle competenze o scarsa informazione, cercano di relegarlo all’assurdo ruolo di “architettura” degli esterni, sottraendogli l’intensità indispensabile di disciplina del paesaggio, ponte fra le soluzioni processuali e formali da una parte, e quelle di contenuto ambientale e più concretamente ecologico dall’altra.
La difficoltà di lavorare sul Paesaggio a partire dall’Architettura, non solo con la sensibilità necessaria, ma con la conoscenza e l’interpretazione della lettura ecologica del luogo, controllando l’effetto che l’elemento disegnato impone sull’intorno, trova risposta nell’opera di pochi progettisti. In rapporto ad alcuni esempi pittorici, il Paesaggio è qualcosa che va oltre l’attitudine creativa delle viste prospettiche di Paolo Uccello, Luca della Robbia, Giorgione, o del concetto di “fondo e figura” statico, nella storia dell’arte europea; viceversa è molto più vicino all’interpretazione intuitiva dell’intorno, come vediamo nell’opera grafica di Pablo Palazuelo (“La geometria i la vida“, Carmen Bonell. Ed. Cendeac, 2006).

Immagini impattanti di progetti di riferimento, come il museo di pitture rupestri di Niaux (Francia) di Massimiliano Fuksas, Franco Zagari, Jean Louis Fulcrand, G. Jourdan, J. Capia e A. Marguerit, il lavoro pedagogico progettuale del percorso e dei belvedere di Cardada nelle Alpi svizzere, di Paolo Bürgi o la sottile interpretazione delle preesistenze nelle scale mobili della Granja a Toledo di Elias Torres e J. Antonio Martinez Lapeña, spiegano tre forme diverse, e allo stesso tempo sintonizzate, di estrarre dal luogo le energie progettuali per dare impulso ad una proposta che in ogni caso finisce per essere propria del paesaggio, permettendo una migliore lettura dello stesso. Tutto ciò, non solo è una questione di sensibilità verso il genius loci, ma è anche un incarico delicato, che ha bisogno di un argomento programmatico adeguato e una certa sfiducia nella capacità della natura di fagocitare la buona architettura.
Sarebbe conveniente discernere anche fra ciò che chiameremmo Paesaggismo, la cui anima progettuale però nasce da una genesi artistica, non molto lontana da posizioni Land-art o Earthworks, come la magnifica e conosciuta zona di riposo in Malniu di Enric Batlle e Joan Roig, o come le più recenti e non meno conosciute e valide proposte del Parco della “pedra tosca”, nelle vicinanze di Olot (Girona), di RCR-Aranda, Pigem e Vilalta.

Europa a confronto.
È rilevante la variazione del concetto di paesaggio in Europa dove storicamente hanno predominato interventi basati sull‘arte dei giardini, in contrapposizione a proposte che si fondavano su paesaggi di grande bellezza a grande scala.
Questa forma di intendere il paesaggismo, di origine romantica e di ascendenza sassone, definisce una disciplina in cui “il verde” sembra intrinseco ed i cui limiti sono approssimativamente definiti.
È nelle ultime decadi, a partire dalla crisi ambientale, che la specificità del paesaggismo si sfuma, riscoprendo la responsabilità di dar risposta ai problemi che le discipline classiche, prive di strumenti, non sono capaci di affrontare.
L’emergenza del paesaggismo come disciplina nell’area mediterranea, la diversità dei problemi territoriali, la maturità dei nostri paesaggi costruiti ripetutamente nello stesso luogo, la coscienza sociale e l’urgenza di incontrare risposte adeguate a problematiche complesse, obbliga ad un rinnovamento disciplinare basato senza dubbio sulla trasversalità della conoscenza.
I paesaggi meridionali sono lontani dal modello “di verde” nordico, essi sono condizionati dal cambio climatico, da un’agricoltura agonizzante, da una pressione turistica che ha esaurito quasi completamente il litorale, e sono governati da una neo-urbanistica i cui modelli risultano ormai obsoleti.

Questo divario è stato una delle costanti della Biennale Europea del Paesaggio delle ultime edizioni, in cui la raccomandazione di selezionare un solo progetto per il Premio di Paesaggio “Rosa Barba” – il più rappresentativo tra i 500 presentati – ha portato, e non senza fatica, ad un ex-aequo. Non si è trattato di una decisione politica o estetica, ma di una discordanza fra i membri della giuria internazionale, prestigiosa ed estremamente coscienziosa che, dinnanzi alla congiuntura di premiare l’opera esemplare, nell’insieme di quelle realizzate negli ultimi anni, è stata incapace di raggiungere un consenso, riconoscendo posizioni divergenti in termini di Paesaggismo inconciliabili.
La causa di tale discordia si basa più che su una differente formazione, su un diverso contesto geografico, da cui derivano problematiche paesaggistiche di natura molto varia.

La coscenza della crisi.
La tendenza marcata dalla stessa Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona è sensibile a questa situazione, già dal titolo del simposio che cerca di indirizzare il certamen e le loro proposte.
I titoli “Rifare paesaggi”, “Giardini sorgenti”, “Solo con la natura” o “Paesaggio: produzione”, hanno voluto far riferimento all’attualità del Paesaggismo, sempre da un’ottica legata a territori maturi ed
a strumenti innovatori di produzione paesaggistica, cercando di trovare soluzioni soddisfacenti per le impegnative necessità contemporanee.
I temi delle ultime Biennali del Paesaggio di Barcellona hanno fissato l’attenzione sugli aspetti più determinanti della grande crisi economica, come sui modelli e sulla disciplina non solo paesaggistica, ma del mondo creativo in generale.
Nel caso del paesaggismo questa situazione è aggravata dalla condizione ambientale dei nostri territori che necessitano più che mai di un grande impegno economico, ma anche di una attenta riflessione in merito alle idee ed alla necessità d’innovazione.
Il difficile progresso sociale, l’integrazione delle energie rinnovabili, l’inquinamento atmosferico
ed idrico, la fragilità delle coste, il cambio metereologico dovuto al riscaldamento dell’atmosfera, così come la mancanza di scrupoli nella crescita turistica in territori fragili, sono alcuni degli elementi su cui l’urbanistica in generale ed il paesaggismo in particolare dovrebbero lavorare. È per questo, che “Tormenta e impetu”, “Paesaggi liquidi” e quest’ultima edizione, “Biennale contro Biennale”, sono stati premonitori e necessari per il dibattito disciplinare in merito al cammino da intraprendere nel prossimo futuro.

I nostri modelli si stanno esaurendo e i nostri riferimenti paesaggistici hanno bisogno di una revisione, perché alcuni metodi di progettazione e gestione non torneranno a ripetersi.
Tutto ciò, anche se di enorme gravità è appassionante a livello intellettuale, come riflessione progettuale, come opportunità di relazione di una disciplina che basa i suoi valori sull’agilità di risposta, sulla facilità di reazione e sulla fiducia dello sviluppo di processi di progettazione complessi a partire dal rigore, dalla conoscenza dei luoghi e delle tecniche.

Il destino ci riserva una “chance”.
Dal mondo dell’insicurezza e dell’incertezza, stiamo cercando di chiamare le cose col loro nome.
Il Paesaggismo è morto, viva il Paesaggismo.

Jordi Bellmunt Chiva is Professor in the Department of Urban and Regional Planning of the University of Catalonia and Director of the Master of Landscape Architecture (UPC).
He works as landscape architect since 1980. Thanks to a multidisciplinary methodology he developed projects at large and small scale, enriching his professional work with forefront topics of the research and academic teaching.
The office B’ Architectes, founded in 1994, develops mainly landscape projects and urban design.