L’omaggio di Bologna a uno dei massimi artisti cinesi contemporanei, che in città ha vissuto e scoperto la street art. “Tutte le mie opere hanno una stretta relazione con la realtà che mi circonda”. Si racconta così Zhang Dali, uno dei più importanti artisti cinesi contemporanei sulla scena internazionale, che inaugura il 23 marzo a Palazzo Fava - Bologna Meta-Morphosis, la prima grande antologica italiana a lui dedicata: un omaggio che Fondazione Carisbo e Genus Bononiae. Musei nella Città tributano all’artista che a Bologna arrivò nel 1989, dopo i drammatici fatti di piazza Tienanmen, rimanendovi fino al 1995. Pittore, scultore, performer, fotografo, padre della graffiti art in Cina, anche se la definizione che meglio lo inquadra è quella di street artist, per l’irriducibile volontà della sua arte di cercare un dialogo con tutti gli elementi - umani e architettonici, corporei e incorporei - che permeano lo spazio urbano. I lavori di Zhang Dali, esposti nelle più importanti gallerie e musei di tutto il mondo - dal MoMa di New York alla Saatchi Gallery di Londra allo Smart Museum di Chicago - sono frutto di uno sguardo profondamente umano e partecipe sulla Cina contemporanea e le sue drammatiche contraddizioni, sui rapidissimi cambiamenti che la crescita esplosiva del capitalismo ha portato con sé negli ultimi trent’anni, dalle drammatiche condizioni di vita dei lavoratori ridotti alla serialità, all’urbanizzazione selvaggia che cementifica e cancella la tradizione.
Il titolo è un esplicito riferimento all’essenza stessa dell’arte di Zhang Dali, un segno di riconoscimento che lo distingue da tutti gli altri artisti cinesi suoi contemporanei: arte che tenta di rappresentare i cambiamenti della Cina, facendone emergere le laceranti contraddizioni, i traumi e le ripercussioni che si riverberano soprattutto sugli anelli deboli della catena sociale, sui lavoratori che hanno pagato il prezzo più alto della transizione al capitalismo, sulla popolazione investita dalla rapidità di una trasformazione che tutto sovverte e cancella a ritmi vertiginosi. “Realismo estremo”, quello di Zhang Dali - secondo la fortunata espressione di Yu Ke, Caporedattore del mensile Contemporary Artist e Professore alla Sichuan Academy of Fine Arts - in quanto artista che “si fa interprete del dovere dell’arte contemporanea di esprimere il dubbio sulla brutalità che permea la vita”.

Nove le sezioni della moatra Meta-Morphosis, in cui sono raggruppate le 220 opere selezionate, tra sculture, dipinti, fotografie e installazioni, che spaziano nell’imponente produzione artistica di Zhang Dali.
L’esposizione, ospitata nelle splendide sale di Palazzo Fava, affrescate dai Carracci, si apre con la serie di dipinti Human World, che Zhang Dali dipinge negli anni Ottanta, sul finire del periodo di studi all’Accademia Centrale di Arte e Design di Pechino: dipinti a olio su carta in rosso, nero e bianco in cui dettagli figurativi si mescolano a una rappresentazione onirica, frutto del desidero di sperimentazione dell’artista in un’ottica di contaminazione tra arte orientale e occidentale. La rapidità dei cambiamenti urbanistici della Cina contemporanea, le macerie che fanno spazio alla modernità cancellando il passato sono al centro del ciclo di fotografie Dialogue and Demolition: sulle rovine delle costruzioni abbattute dalla furia della crescita urbana Zhang Dali traccia per anni, a partire dal 1995, il profilo del suo volto, utilizzando l’arma clandestina dei graffiti appresa a Bologna: un tracciato che, demolito, diventa finestra, rivelando il disturbante contrasto tra la Cina tradizionale e l’epoca contemporanea, e i costi della modernizzazione sul patrimonio storico e culturale.


In mostra per Meta-Morphosis anche il ciclo One Hundred Chinese, realizzato tra il 2001 e il 2002, documentario veritiero sulla condizione del popolo cinese nel nuovo millennio, con la rapida globalizzazione del paese: le sculture, calchi di persone reali, diventano specchio di esistenze solo apparentemente ricche e privilegiate, in realtà stritolate dai ritmi della modernizzazione. E ancora i grandi dipinti della serie AK-47 e Slogan: nei primi la sigla del kalashnikov, simbolo universale di guerra e sopraffazione, compone i ritratti di uomini e donne, svelando impietosamente la violenza quale elemento integrante e tessuto connettivo delle esistenze. Nei secondi gli ideogrammi che compongono gli slogan della Repubblica Popolare rivelano, grazie alle variazioni di scale cromatiche, le foto-segnaletiche di uomini e donne dai volti impassibili, privi di qualsiasi segno di gioia o dolore. Volti anonimi quanto gli slogan, appiattiti in una massa umana indistinta.
La violenza lascia spazio al silenzio e alla pace quasi metafisica nella serie World’s Shadows, realizzata con l’antico processo fotografico della cianotipia, che disegna su tela di cotone o carta di riso delicate ombre umane, animali e vegetali; una scintilla di eterno che si ritrova nelle grandi statue antropomorfe in marmo bianco (hanbaiyu) a grandezza naturale della serie Permanence, in cui corpi di persone comuni, lavoratori, migranti, scolpiti nel materiale delle statue degli dei e degli eroi, attingono al sublime che esiste in ogni singola esistenza. La storia torna prepotentemente nei 100 pannelli della grandiosa serie A Second History, nei quali attraverso materiali d’archivio collezionati in sette anni Zhang Dali rivela impietosamente la sistematica manipolazione delle immagini operata dal regime a fini propagandistici degli anni dal 1950 al 1980. Il percorso si chiude con la monumentale installazione Chinese Offspring, serie di sculture colate in vetroresina dei mingong, i lavoratori strappati dalle campagne per diventare parte del fagocitante meccanismo produttivo della Cina post-maoista. Una selva di sculture appese a testa in giù, a significare la mancanza di controllo che queste persone hanno sulla propria vita: una riflessione di devastante impatto sulla presente condizione di un popolo diventato ingranaggio di una macchina sulla quale non ha controllo.
L’arte di Zhang Dali, pur confrontandosi con un orizzonte spazialmente e temporalmente circoscritto, diventa inevitabilmente una riflessione sulla condizione umana tout court: una dimensione in cui corporeità e spiritualità sono profondamente intrecciate e che, indipendentemente dalle differenze religiose, politiche, sociali rivelano l’appartenenza di ciascuno di noi a un'unica comunità umana” dichiara il Presidente di Genus Bononiae.
In occasione dell’inaugurazione della mostra Meta-Morphosis, il 23 marzo Genus Bononiae e MAMbo organizzano il convegno internazionale “Contemporary art in Museums between economy and society: the role of museums for the dissemination of contemporary art in society” con l’obiettivo di indagare la relazione tra i musei e il mercato dell’arte contemporanea, ruoli e influenze.

Meta-Morphosis
dal 23 marzo al 24 giugno 2018
Palazzo Fava, Bologna