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Agli inizi degli anni Cinquanta Paolo Soleri, dopo un primo soggiorno negli Stati Uniti, rientrò in Italia. Dopo aver trasformato un pulmino nella sua casa-studio itinerante, iniziò un viaggio lungo la penisola che lo porterà anche sulla costiera amalfitana. Si ferma a Vietri sul Mare per apprendere l’antica arte della ceramica. Qui incrocia la famiglia di ceramisti Solimene che lo incarica di realizzare la loro nuova fabbrica. Essa resta una delle realizzazioni architettoniche che riesce, chiaramente, a trasferire in un opificio l’intima consapevolezza del processo ceramico e la sua ancestrale poetica.
La struttura compositiva della fabbrica è caratterizzata da verticalità e circolarità, aspetti che nascono dall’emulazione del processo al tornio con cui si modella, plasmandolo dal fondo verso la cima, il vasellame. Un ulteriore suggerimento verso il dimensionamento prevalentemente verticale è dato dai tradizionali forni di cottura a legna, che si sviluppavano fortemente in altezza. La fabbrica si articola attraverso una serie di volumi cavi, svasati verso l’alto in modo da convogliare verso l’interno il massimo della luce, lasciando alla superficie di facciata la funzione di tessitura grafica.
All’interno una rampa elicoidale parte dal piano terra, ove insiste l’area commerciale ed espositiva, giungendo sino ai livelli superiori, ove avviene la lavorazione. Una spettacolare selva di pilastri a vista crea la maglia strutturale capace di tenere assieme una tale complessità spaziale, utilizzando la rampa come elemento di irrigidimento orizzontale.L’idea ciclica, continua, dello spazio come percorso è evidentemente legata all’ organicismo del Gugghenheim Museum di New York di Wright.
All’esterno la facciata è costituita da una serie di volumi tronco conici con un andamento ondulato, connessi da vetrate triangolari aggettanti.
L’elemento caratterizzante del rivestimento è il componente ceramico, costituito da dischi regolari disposti in file. Fondi di vasi in terracotta, le antiche “mummarelle” pervenuteci dall’architettura romana, lasciate grezze o smaltate verde bottiglia, che – annegate nel calcestruzzo – rivestono e decorano la facciata. Questa trama rappresenta il legame più evidente con il luogo, ma anche un modo molto semplice, ancora oggi efficace dopo cinquant’anni dalla sua messa in opera, per ridurre i problemi legati alla coibentazione ed alla manutenzione in facciata.
L’uso adeguato di un materiale diviene, in questa parte dell’edificio, un legame con la storia, con la cultura materiale ed antropologica del luogo in un senso di continuità con una produzione antica che affonda le sue radici lontano, nel mondo arabo, nella diffusione in tutto il Mediterraneo di una tecnica, che permette, a partire dalle cupole maiolicate policrome di cui è punteggiata la costiera di produrre un linguaggio completamente moderno.
L’uso contemporaneo di una struttura muraria ondulata nella facciata e del suo completamento mediante piccoli punti di colori, pixel che ne esaltano la trama, creano un effetto di moto continuo che, ancora una volta, rimanda ad una superficie marezzata, ma anche ad un movimento plastico continuo, come quello della materia ceramica non ancora cotta. L’associazione visiva più immediata è allora con Antoni Gaudì, in special modo attraverso la teoria di alberi pietrificati del Parco Guell a Barcellona.
Ma, nonostante questi retroterra, l’opera di Paolo Soleri è un unicum che non tralascia mai le necessità di un opificio industriale moderno, le richieste della famiglia Solimene di Vietri sul Mare, le sue esigenze e la sua identità. A ben vedere questo senso di continuità è proprio l’elemento che in maniera più evidente lega un luogo, il Mediterraneo, alla sua cultura materiale attraverso un tipico processo di lavorazione identitario, come quello ceramico.
Ricostruire gli intrecci che hanno portato alla diffusione della produzione ceramica nel bacino del Mediterraneo, significa, infatti, inevitabilmente parlare di popoli, di rotte, di culture, in una sorta di racconto d’avventura che, superando gli ambiti specifici, contribuisce a dare un senso più generale e concreto all’idea stessa di Mediterraneo. Una storia che, pur avendo a soggetto l’evoluzione di una produzione materiale nel tempo, come in un racconto acquerellato di Corto Maltese, ci parla attraverso i colori e le forme, delle vicende dei tanti popoli che hanno abitato nei secoli il Mediterraneo e che hanno gettato le basi della stessa storia dell’uomo. Per primi cretesi e micenei, successivamente macedoni, romani, bizantini e poi subito dopo l’Islam. Attraverso la produzione ceramica si concretizza l’idea stessa del Mediterraneo espressa da Braudel come “cicatrice” tra la cultura occidentale e quella orientale. Un mondo concreto che si trasforma in un racconto fiabesco con l’esplosione del colore.
La ceramica, nelle sue varie applicazioni locali, concretizza l’idea di Gillo Dorfles dell’esistenza di una “peculiarità creativa“, che accomuna le genti dell’Africa Settentrionale, delle penisole greca, italiana, iberica, con le sponde dell’Asia Minore e le grandi isole di Sardegna, Sicilia, Creta e Malta e che unisce nel tempo le generazioni.
Tinte marezzate, luminose e forti, che attraverso le decorazioni ceramiche si diffondono in tutto il Mediterraneo. Il blu persiano, ricavato dalla macinazione delle pietre di lapislazzuli, il cobalto, il verde smeraldo ed il bianco, in una ricerca che usa a modello l’universo dei colori che proviene dalla quotidiana esperienza del mare.
Proprio il mare è alla base di altri due progetti, differenti per epoche e progettisti, ma che confluiscono nel medesimo modo di utilizzare in maniera, assieme, localistica ed universale, la ceramica.
Il primo è l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento progettato nel 1962 da Gio Ponti. All’interno i motivi decorativi delle ceramiche dei pavimenti e i ciottoli bianchi e blu incastonati nelle pareti verticali formano un sistema decorativo generato, evidentemente, dai paesaggi marini circostanti. Ponti riproponendo gli accostamenti fatti per le ville Arreaza a Caracas (1956) e Nemazee a Teheran (1957-64), applica anche a Sorrento il principio della bicromia e disegna 30 decori diversi in bianco e blu usando un solo modulo di piastrella 20×20cm. Per ogni camera individua una serie cromatica, ottenendo così cento diverse combinazioni, corrispondenti esattamente al numero delle stanze dell’Albergo. Al piano terreno per gli spazi comuni, reception, hall, sala fumatori, ristorante e bar, la decorazione si applica anche sulle pareti verticali con le placche murate di maiolica bianca e azzurra dell’amico artista Fausto Melotti.
L’ideale conclusione di questo nostro breve percorso può essere individuata nella stazione Toledo della Metropolitana di Napoli, recentemente progettata dall’architetto catalano Óscar Tusquets Blanca. Nel passaggio verso il sottosuolo, dopo aver attraversato le prime rampe delle scale mobili in cui domina il color ocra del rivestimento, riferimento al tufo napoletano dell’edificato, il superamento della quota sottostante il livello del mare è segnato dall’ingresso nella Galleria del Mare in cui Bob Wilson, volendo ricreare la mobilità ed i colori dell’habitat acquatico, ha utilizzato un rivestimento ceramico mosaicato a motivi marini.