area 109 | art and architecture

Potremmo comprendere Leon Battista Alberti, Brunelleschi, Raffaello, Michelangelo – l’elenco certamente non è concluso – selezionando, all’interno delle diverse opere, il ruolo o il valore espresso in relazione alla disciplina praticata? È possibile – anche se prioritariamente dovremmo interrogarci se è corretto – distinguere la loro attività di architetti da quella di artisti, letterati, uomini di scienza? Per comodità di interpretazione e di conoscenze questa artificiosa separazione si compie nei faticosi distinguo dei ricercatori (impreparati a valutare diversamente dalla loro settoriale preparazione disciplinare l’opera trasversale dei maestri), tuttavia è indubbio che l’agire integrale dell’artista ai tempi dell’umanesimo realizzava una ricercata continuità tra pensiero
e azione; un’arte creativa sviluppata coerentemente e indipendentemente dal testo: un dipinto, una scultura, un edificio, un’invenzione costruttiva, l’intuizione di un metodo di rappresentazione della realtà – pensiamo alla scoperta della prospettiva – non erano che frammenti di un medesimo corpo, espressioni diverse di un unico sentire.
Purtroppo l’unità delle arti e nelle arti, come è noto, non è durata a lungo, non tanto e non solo, per volontà degli autori, quanto piuttosto per l’oggettiva difficoltà del pensiero critico di costruire una credibile teoria estetica all’interno della quale collocare, coerentemente agli obiettivi prefissati, le diverse attività ed espressioni artistiche. Se infatti l’arte, ed in particolare le Beaux Arts, raggiungono la loro massima espressione, il sublime, nell’imitazione della natura – ritenuta perfetta e meravigliosa perché creata da Dio – come può l’architettura che di necessità costruisce paesaggi artificiali, funzionali alle esigenze umane, ambire allo status di arte?
Per risolvere l’impasse a poco è servito il tardivo espediente letterario introdotto da Marc-Antoine Laugier, teso ad individuare nella capanna primitiva il modello naturale da imitare, l’archetipo, l’origine delle cose e quindi delle case; troppo flebili ed eccessivamente confinate sul perimetro del capitello corinzio le forme naturali, con l’aspetto di foglie di acanto, per conferire all’architettura la medesima dignità di espressione artistica come alla pittura e alla scultura.
Come se non fosse sufficientemente bistrattata sul piano espressivo dall’impossibilità di imitare la perfezione divina e su quello scientifico dagli studi e le ricerche tecnologiche condotte dagli ingegneri dell’École Polytechnique, l’architettura viene definitivamente declassata dal pensiero kantiano all’interno del novero delle arti che servono ad uno scopo (pulchritudo adhaerens); più che un’attività artistica una pratica collocata evidentemente ad una opportuna distanza rispetto alle arti il cui fine si compie esclusivamente nella ricerca del piacere estetico (pulchritudo vaga). Il pensiero moderno tenta il ribaltamento dei valori precostituiti affermando che la forma segue la funzione e quindi che la risposta alle diverse necessità realizza il fine ultimo dell’arte, purtroppo tale posizione si infrange tanto nell’international style quanto nel dogmatismo di posizioni ortodosse, valga per tutte, a titolo di esempio, la querelle mossa da Argan dalle pagine di Casabella contro Ronchamp; una chiesa ritenuta inutilmente espressiva e formalista, un edificio privo di quel rigore morale che spetta ad un’opera d’arte. In che modo allora oggi arte e architettura possono dialogare costruendo percorsi convergenti e/o paralleli? La risposta non è semplice, tuttavia risulta evidente che entrambe queste discipline sono divenute arti della comunicazione, espedienti narrativi che usano una diversa strumentazione per affermare una medesima necessità: il dialogo tra le parti.
Le condizioni e gli attori di tale scambio di informazioni sono ovviamente mutevoli cambiando intellettualmente dal singolo alla moltitudine, geograficamente nello spazio e storicamente in dipendenza del tempo e dei riferimenti coinvolti, tratti dalla memoria o proiettati verso il futuro. In ogni caso ed in ogni circostanza la contemporaneità ha introdotto la necessità per le arti di confluire all’interno di un processo mediatico collettivo nel quale l’essenza del messaggio, in quanto tale, prevale talvolta sul contenuto, rendendo indispensabile, per ogni pensiero, la necessità di un trasferimento, di un passaggio, di uno scontro o di un incontro; probabilmente per questo tanto per le arti figurative, quanto per l’architettura, la città e il paesaggio urbano sono diventati il migliore e più efficace ambito di applicazione.