area 127 | identity of the landscape

Dal biologico al geologico.
Se la mera sopravvivenza, la mera continuazione, è degna d’interesse, allora le tipologie di rocce più dure come il granito, vanno messe in cima alla lista di quelle che hanno più successo tra le entità macroscopiche. …Ma il modo con cui le rocce restano in gioco è diverso da quello delle cose viventi. La roccia, si potrebbe dire, resiste  al cambiamento; non si muove, resta immutata.
La cosa vivente sfugge al cambiamento sia correggendo il cambiamento che cambiando, in modo da potergli andare incontro o da incorporarlo nel proprio essere.
Gregory Bateson

Nel corso dei due decenni passati, la metafora dominante in circolazione nell’architettura d’avanguardia è stata biologica: il desiderio di rendere l’architettura più realistica, il che vale a dire, più fluida, più veloce e sensibile al cambiamento. Partendo dalla descrizione di D’Arcy Thompson della forma naturale come un “diagramma di forze”, è stata usata la tecnologia informatica d’avanguardia per simulare le forze attive che modellano la forma biologica. Queste strategie contemporanee di animazione vanno oltre il biomorfismo degli anni ’50 e ’60 rivelando che l’architetto non imita le forme della natura così tanto quanto modella il processo naturale della genesi della forma. Con la tecnologia digitale contemporanea, per esempio, è ora possibile sviluppare nuove configurazioni formali rispondendo a forze e vincoli specifici: strutturali, climatici o programmatici. Se ciò ha prodotto risultati convincenti, ha anche posto limiti concettuali e procedurali. Le tecniche di progettazione usate per generare questi nuovi edifici possono essere dinamiche, ma gli edifici in sé sono statici – se si muovono appena, lo fanno molto lentamente. Le forme create possono assomigliare a quelle naturali, ma conservano ben poco della complessità della vita nella rappresentazione e nell’adattabilità. Persistono le vecchie idee sull’edificio come corpo e il potenziale di scambio o co-evoluzione metabolici con un contesto mutevole è limitato. Inoltre, nonostante i progressi nella tecnologia della costruzione, esiste una notevole differenza tra le forme fluide, curvilinee generate dal software e la difficoltà di trattare i materiali e le logiche
della costruzione. Gli edifici – come il terreno – sono duri, resistenti e pesanti. Nascendo da simili ambizioni, una controtendenza non deve puntare alla biologia delle specie individuali bensì al comportamento collettivo dei sistemi ecologici come modello per le città, gli edifici e i paesaggi. I paesaggi cambiano e si sviluppano e vengono altresì modellati dalla forza e dalla resistenza che agiscono nel tempo. Ma il ritmo del cambiamento in un paesaggio o sistema ecologico è molto inferiore rispetto a quello di un singolo corpo vivente. L’architettura si situa tra il biologico e il geologico – più lenta degli esseri viventi ma più veloce della geologia sottostante. Ne deriva che elaborare concept partendo dal paesaggio e dall’ecologia – che descrivono le complesse interazioni di specie e ambiente per lunghi periodi di tempo – offre modelli più adatti per l’architettura e l’urbanistica rispetto all’attuale fascino per la forma biologica e il movimento catturato. Resistenza e cambiamento sono entrambi all’opera nella produzione architettonica contemporanea: la durezza della roccia e la fluida adattabilità delle cose viventi.
Questa interrelazione attesta che tutta l’evoluzione è una co-evoluzione. Le singole specie e i loro ambienti mutano e si sviluppano su linee parallele, scambiandosi costantemente informazioni. Le ecologie, a differenza degli edifici, non rispettano i confini. Anzi, si estendono lungo i territori
e stabiliscono relazioni complesse che operano simultaneamente su molteplici scale, da quella microscopica a quella regionale. Nel piano di una città, di un paesaggio o di un territorio, la questione del procedimento muove dal metodo della progettazione – la sfera della disciplina breve e limitata – alla lunga resistenza nel tempo di un edificio, di una città o di un paesaggio inviluppata in complesse formazioni sociali e culturali.

Ma se l’urbanistica ‘ecologica’ dev’essere più di una metafora, deve rivolgersi alle logiche della pratica. Quali sono i limiti reali degli interventi di progettazione all’interno delle dinamiche complesse e mutevoli della città contemporanea? Le città, a differenza degli edifici, sono difficili da delimitare e fissare nel tempo. Gli architetti sono più affascinati che mai dalle grandi città, ma allo stesso tempo sono sempre meno capaci di controllare la forma della città. Un’altra lezione di Bateson: un sistema così complesso, per definizione, non può essere progettato. Tutto ciò che teniamo in grande considerazione in merito alle città si presenta come qualcosa che eccede l’intenzionalità progettuale o la realizzazione ingegneristica. La questione allora è come progettare a favore dell’imprevedibilità e dell’eccesso. La città è un profondo locus di innovazione, la sua creatività collettiva è sempre in anticipo sulle discipline dell’architettura o dell’urbanistica che cercano di controllarla. L’urbanistica contemporanea ha bisogno di tecniche capaci di innestarsi sulla reale complessità della città poiché le tecnologie, la politica, la vita sociale e gli strumenti economici dell’urbanistica continuano a cambiare.
C’è una consapevolezza crescente che le complesse sfide di progettazione di oggi possano essere effettivamente affrontate soltanto per mezzo di uno scambio di informazioni tra più discipline. Abbiamo bisogno di lavorare all’interno di un campo esteso che includa l’architettura, la progettazione urbana,
il paesaggio, l’infrastruttura, l’ecologia e il progetto e abbiamo bisogno di fare calcoli economici
e politici. Comunque, in un campo così vasto, è facile vedere come la specificità della competenza architettonica possa diventare fievole. In parte, questa era la premessa fondante dell’urbanistica paesaggista: situata nel punto di intersezione tra la regione ecologica, l’infrastruttura, la progettazione open space e l’architettura, l’urbanistica paesaggista utilizzava il proprio status di campo “minore” (debole di una solida storia disciplinare) per presentarsi come una disciplina sintetica che poteva lavorare sui confini di queste aree di competenza correlata. L’urbanistica paesaggista non lavora solo sugli spazi vuoti tra gli edifici, le strade e l’infrastruttura, ma anche sullo spazio tra le discipline. E così come ci si assicura che queste idee siano teoriche, per determinare i progetti realizzati dall’urbanistica paesaggista si è rimasti all’interno dei limiti convenzionali dell’architettura paesaggista, in primo luogo la progettazione di parchi urbani e lungofiumi, rafforzando le competenze convenzionali dell’architetto paesaggista. Una definizione istituzionale esauriente è ancora doverosa, una definizione che faccia leva sulla competenza architettonica nella progettazione di sistemi e infrastrutture: il passaggio dal paesaggio urbanistico al paesaggio infrastrutturale.

Urbanistica infrastrutturale rivisitata
C’è un principio specifico dell’ecologia ambientalista: esso asserisce che tutto è possibile – il peggior disastro oppure le evoluzioni più flessibili.
Félix Guattari

Rivisitare l’intersezione dell’urbanistica, del paesaggio e dell’infrastruttura, vista oggi nel contesto dei 12 anni di storia dell’urbanistica paesaggista rivela un percorso produttivo in avanti.
Mettendo insieme lezioni dal vasto campo dell’urbanistica paesaggista, questa rinnovata attenzione per l’infrastruttura rappresenta una riasserzione della specificità della competenza architettonica nella progettazione di sistemi e strutture su larga scala. La progettazione di infrastrutture offre un percorso nella complessità del sistema urbano in cui la progettazione ha un valore: nessuno discute sulla necessità di progettare infrastrutture urbane. Ciò che occorre è una nuova mentalità che possa vedere la progettazione dell’infrastruttura non semplicemente come un’esecuzione di standard minimi di ingegneria, bensì come qualcosa che è capace di innescare effetti urbani complessi e imprevedibili oltre alla stessa capacità di progettazione. Più di 40 anni fa, Hans Hollein compose l’immagine di una nave da guerra nel paesaggio naturale, rivelando una discontinuità radicale tra la natura e la tecnologia. Oggi la sua visione può essere interpretata come un’anticipazione dell’attuale impasse ambientalista, o, in alternativa, come un punto di partenza per ripensare il rapporto tra la natura e la cultura sotto il nuovo dominio delle teorie ecologiste contemporanee.
Questo nuovo territorio è stato al centro del lavoro di SAA/Stan Allen Architect nei progetti su larga scala degli ultimi 5 anni. Sebbene non esaurienti, possono essere identificate tre strategie primarie di intervento che riportano alle prime speculazioni sull’urbanistica infrastrutturale e che, allo stesso tempo, puntano avanti verso le nuove tecniche e le nuove possibilità urbane.

Connettività.
La connessione è il modo principale di operare dell’infrastruttura. Le infrastrutture operano al fine
di spostare in continuazione beni, persone, energia e informazioni stabilendo percorsi e intersezioni che rendono possibile la connettività.
Le infrastrutture in sé sono statiche, ma esse fungono da movimento. Spostare l’attenzione sulla progettazione dell’infrastruttura pertanto significa uscire dal doppio vincolo dei movimenti congelati o dell’animazione.
Se la progettazione ingegneristica convenzionale dell’infrastruttura è basata su sistemi lineari
e rispetta i principi di separazione del movimento e la minimizzazione del conflitto, una preziosa lezione che viene dal paesaggio è la potenzialità delle connessioni fatte non attraverso le linee bensì attraverso le condizioni delle superfici estese. Tali superfici hanno la capacità di contrastare la dimensione verticale dell’architettura, che è diventata parte dello spazio suddiviso. Operando con la connettività di superficie, l’asse verticale viene materializzata come edificio e quella orizzontale come infrastruttura e paesaggio. Ciò suggerisce l’idea di luogo come una matrice continua, localmente differenziata come movimento, edificio, infrastruttura o luogo aperto. L’orizzontale e il verticale sono intessuti tra loro e vengono entrambi percepiti come materiali architettonici.
Sul lungofiume di Yan Ping, in un luogo caratterizzato dalla presenza di infrastrutture su larga scala, il nostro compito era quello di creare un nuovo lungofiume pubblico.

Non potevamo realizzarlo usando strategie convenzionali di progettazione paesaggista. Abbiamo invece proposto la riconfigurazione di una componenente importante dell’infrastruttura urbana – il muro-argine, alto 8.3 metri, che oggi isola la città dal fiume. Al posto del singolo muro agli estremi della città, abbiamo proposto un sistema di strutture rialzate di argini naturali – superfici modellate che aprono il luogo a un accesso senza impedimenti e, al contempo, danno vita a una varietà di spazi e attività sugli argini del lungofiume. Abbiamo conservato lo stesso livello di protezione dalle inondazioni aumentando però il numero di punti di accesso e rinforzando la connettività tra il parco e la città. Le specifiche potenzialità delle connessioni fatte dalle superfici vengono utilizzate per aprire la città al lungofiume, allo stesso modo con cui viene rispettata la natura essenzialmente costruita di un tale sistema su larga scala. La proposta è un vasto, ininterrotto pezzo di architettura che funziona sulla scala della città.

Specificità architettonica/Indeterminazione programmatica.
Il paesaggio offre nuovi modelli all’architettura per pensare al rapporto tra il progetto e il luogo. In primo luogo c’è la speranza che in un’area all’aperto possa aver corso qualsiasi cosa: sport, festival, dimostrazioni, fiere, feste, concerti o picnic, così come qualsivoglia evento informale non in programma. In parte questo è un effetto della scala – i paesaggi sono più grandi degli edifici, ma ciò ha anche a che fare con l’esposizione del settore paesaggistico. Eppure quell’esposizione è ingannevole. L’area dev’essere ‘irrigata con le potenzialità’ per usare una frase suggestiva di Rem Koolhaas. Il che vale a dire che l’infrastruttura crea concentrazioni di densità che a loro volta innescano concentrazioni di attività. Il progetto non può mai essere scritto per sé; la libertà necessaria al regno urbano non dipende da determinazioni dall’alto verso il basso, bensì da formazioni collettive dal basso verso l’alto. I limiti della progettazione devono essere rielaborati strategicamente per far leva sulle potenzialità dell’architettura nello specificare il movimento, nel creare attrattori e nel dirigere liberamente un progetto. La zona non è mai neutrale ed è l’infrastruttura che crea la differenza e la possibilità di una forza vitale nel tempo, organizzata collettivamente dalla moltitudine di potenziali abitanti.
Il parco sulla sponda del lago Gwanggyo Pier è una presentazione su invito per un concorso internazionale di architettura del paesaggio.
Il concorso in breve richiedeva un parco urbano che sarebbe diventato il principale spazio all’aperto di una città pianificata per 16.000 abitanti. I due bacini idrici preesistenti rappresentano i punti di riferimento più importanti del luogo. Ad ogni modo, il terreno libero intorno a questi bacini idrici è limitato nella misura ed è discontinuo nel piano. Il massiccio sviluppo rischia di marginalizzare lo spazio all’aperto e di fratturare il già fragile equilibrio ambientale. In risposta al bisogno di creare un parco-spazio vitale e iconico, abbiamo proposto una strategia di ‘zona’ integrata di risanamento del paesaggio a fianco di una nuova struttura ‘pontile’ che collega la terra all’acqua.

La mega-sagoma che ne risulta sintetizza il paesaggio, l’infrastruttura e l’architettura. Ciò crea un’icona comprensibile che attribuirà al parco una nuova identità, capace di mantenere la propria in opposizione allo sviluppo pianificato sul luogo.
Il pontile stesso è interamente progettato per rendere il luogo attivo con il movimento e con una varietà di nuovi utilizzi. Concentrando tutti gli usi attivi su una striscia, il pontile serve a conservare il resto del luogo per attività ricreative tranquille. La strategia di risanamento del paesaggio non minimizza soltanto l’impatto ambientale e l’uso energetico del parco e delle sue strutture, ma restituisce anche acqua pulita all’ecosistema, migliora il paesaggio e produce energia che garantirà al parco autosufficienza nel tempo.

Progettazione preventiva.
Nell’architettura e nel paesaggio contemporaneo c’è il fascino per l’auto-organizzazione e l’emergenza – la nozione secondo cui se le corrette variabili vengono identificate per mezzo dell’analisi allora la proposta di progetto ‘emergerà’ per mezzo dell’auto-organizzazione. Eppure l’idea che l’auto-organizzazione e l’emergenza siano associate alla mancanza di intenzione progettuale implica un fraintendimento dei principi fondamentali dell’ecologia, basata su un libero richiamo alle idee di stampo ecologista. L’emergenza non ha luogo in un vuoto. Viene scatenata da differenze e squilibri nelle condizioni iniziali. Nel regno urbano o paesaggista – laddove stiamo parlando di ecologie artificiali – non esiste emergenza senza condizioni iniziali progettate attentamente. Permane l’obbligo dell’architetto di progettare queste condizioni iniziali con un elevato grado di precisione e specificità. Come ha osservato Jim Corner, “l’infrastruttura urbana getta i semi delle possibilità future, preparando il terreno sia per le incertezze che per le aspettative”. La preparazione delle superfici per l’appropriazione futura differisce dall’interesse meramente formale per le costruzioni di singole superfici. È più strategico, enfatizzare significa la fine e la logica operativa va oltre il metodo compositivo per la progettazione.”
La progettazione di infrastrutture è pertanto aperta e preventiva. Non ha niente a che vedere con un messaggio specifico; semmai, è la progettazione del sistema che rende possibile spedire qualsiasi numero di messaggi. È per questa ragione che l’infrastruttura è ampiamente democratica. Rappresenta l’investimento dello stato nei sistemi che rendono possibili gli spostamenti e lo scambio di informazioni senza specificare il contenuto di quell’informazione o il ritmo dello spostamento.
Ciò non significa che le infrastrutture siano utopistiche; le infrastrutture sono anche dei sistemi di controllo. Possono facilmente essere regolate da interruttori e posti di controllo e possono essere chiuse quando occorre. Il funzionamento dei sistemi infrastrutturali dipende tanto dal fatto di mantenere la separazione quanto dal fatto di stabilire delle connessioni.
Eppure sappiamo che c’è sempre qualcosa che è leggermente fuori controllo quando proliferano le infrastrutture.

Il nostro piano generale del 2008 per il parco d’ingresso a Taichung è emerso dalla netta sensazione di ciò che poteva essere progettato e ciò che andava lasciato in balia del cambiamento. L’intenzione progettuale si incentrava su ciò che l’amministrazione cittadina poteva ragionevolmente aspettarsi di controllare: spazi pubblici all’aperto e piani stradali. Il sistema parco e piano stradale crea un paesaggio dinamico rattoppato, colonizzato dalla vita delle piante, attraversato da strade e sentieri, popolato da persone e padiglioni e movimentato da eventi e festival periodici. Il ‘vuoto’ del parco non è passivo, è un paesaggio vivente attivo che rappresenta un’opera infrastrutturale, spostando energia e materia tutt’intorno e aiutando a risanare gli ambienti naturali e sociali del luogo.
Se il parco può essere progettato e controllato con un ragionevole elevato livello di specificità, il tessuto urbano circostante può solo essere liberamente guidato nel tempo. La città è un sistema dinamico, che possiede i propri monumenti e il vuoto figurale del parco rappresenta un limite che sarà definito nel tempo con il crescere della città fino a quella linea, segnando il proprio margine come un’assenza. Allo stesso tempo, il parco è un attrattore, che accresce il valore delle proprietà private e crea sviluppo locale. Qui il nostro compito di architetti era semplicemente quello di creare un ponteggio per la città affinché crescesse nel tempo. Gli strumenti per realizzarlo sono più convenzionali: un semplice reticolo allineato alle strade esistenti, un sistema di distribuzione per irrigare il luogo con le potenzialità e l’applicazione di convenzioni familiari della progettazione urbanistica. Abbiamo resistito alle avanguardie che volevano insistere sul reinventare tutto all’interno dei confini della progettazione e abbiamo accettato il fatto che la città verrà finanziata, progettata e costruita da altri con modalità che si possono prevedere e controllare soltanto in modo vago.
C’è un terzo elemento che ha la funzione di complicare questa opposizione binaria tra il vuoto e il pieno. Nella delimitazione nord dell’area abbiamo progettato un’attiva presenza infrastrutturale che collega il parco al tessuto urbano. In questi grandi edifici, interconnessi e multifunzionali, la capacità dell’architettura di fissare forma e struttura con alti livelli di precisione entra in gioco in modo più esplicito. Queste vaste strutture civili e commerciali – un centro di snodo dei trasporti, un centro congressuale e un’arena sportiva – danno un’immediata identità architettonica all’area attraverso lo schieramento di architetture sulla scala delle infrastrutture. Queste strutturano e formano lo spazio pubblico all’aperto e creano piattaforme infrastrutturali per una serie di funzioni pubbliche e private, inclusa un’ampia galleria commerciale.
I tre hotel torre accentuano lo spazio urbano e creano complessi effetti parallasse non appena lo spettatore si muove sia dentro che intorno al sito tanto a piedi che in macchina.

Post scriptum: Dal Campo all’Oggetto.
La città oggi è troppo complessa per le strategie unitarie o le constatazioni ideologiche. Occorre una pragmatica miscela di tecniche che uguagli la molteplicità della città stessa. L’infrastruttura gioca un ruolo chiave in ognuno di questi progetti ma è una delle tante strategie.

Ognuno di questi tre luoghi è abbastanza grande da tollerare una diversa ecologia programmatica, e facciamo uso – senza scusarci – di un’eclettica campionatura di tecniche, nuove e vecchie.
Abbiamo appreso dagli esperimenti dell’urbanistica paesaggista e dell’ecologia del paesaggio.
I piani stradali e le piattaforme civili richiamano le idee dell’urbanistica infrastrutturale. La strategia architettonica nei grandi edifici, sebbene sia stilisticamente diversa, non è poi così lontana dall’idea di Aldo Rossi dell’architettura della città, elaborata circa 50 anni fa. “Per architettura della città” Rossi scriveva “intendevamo due cose differenti: primo la città vista come un oggetto gigantesco fatto dall’uomo, un lavoro di ingegneria e architettura che è grande e complesso e cresce col tempo; secondo, di sicuro più limitati ma ancora aspetti cruciali della città, ossia manufatti urbani, che come la città stessa sono caratterizzati dalla loro stessa storia e pertanto dalla loro stessa forma”. Ciò conferma che le strategie correnti delle infrastrutture del paesaggio appartengono profondamente alla storia delle tecniche dell’architettura; eppure allo stesso tempo queste vecchie strategie possono essere rielaborate nel presente con nuovi strumenti progettuali, nuove forme intellettuali e nuovi modi di porre domande di competenza architettonica.
John Whiteman una volta ha osservato che il padiglione è la forma modello dell’architettura. Infatti, nel ventesimo secolo è stato attraverso la costruzione di strutture di esposizione temporanea che per la prima volta sono apparse le nuove innovazioni più importanti, nei padiglioni costruiti, tra gli altri, da Melnikov, Mies Van der Rohe o Le Corbusier. Nel 2009 il piano generale per il principale aeroporto cittadino di Taichung è stato accettato dall’amministrazione locale e il suo ampliamento è in corso di costruzione.
Per raggiungere la consapevolezza del progetto e portare il pubblico in questo luogo spettacolare, abbiamo progettato un padiglione espositivo temporaneo che mostrasse l’area e il progetto.
Il punto Informazioni di Taichung è stato completato nel 2010, costruito dentro un hanger esistente con una limpida vista sull’ampia zona del nuovo parco. Disegni, plastici e animazioni sono in mostra al suo interno e una terrazza panoramica sopraelevata offre al pubblico l’opportuntà di osservare la trasformazione della città direttamente dalla fonte.
La costruzione del Punto Informazioni dentro uno degli hangar esistenti nel sito è stato un modo redditizio di realizzare il progetto, anche se si operava per fare leva sul potenziale architettonico di questa struttura iconica. Riciclando un edificio esistente abbiamo messo in primo piano la storia del sito aeroportuale allo stesso modo con cui abbiamo cercato una nuova occupazione di quel sito per il futuro. Rispondendo alle necessità di un’implementazione veloce e facendo di tutto con un budget limitato, il Punto Informazioni ripropone l’onnipresente tecnologia dei ponteggi di bamboo che si vedono in tutta l’Asia. La struttura di bamboo non è solo veloce ed economica, è una tecnologia verde disponibile localmente: tutti i materiali verranno riciclati al termine della vita del padiglione.
Il ponteggio è usato per definire un volume semplice, una “foresta di bamboo”, al cui esterno viene scolpita la sequenza di spazi espositivi. L’uso del bamboo è sia culturalmente rilevante che visibilmente ricco; questo crea un intenso tessuto di elementi strutturali leggeri, che cambiano costantemente non appena il visitatore si muove lungo la struttura.

Stan Allen is an American architect, theorist and former dean of the School of Architecture at Princeton University. He received a B.A. from Brown University, a B.Arch. from the Cooper Union and an M.Arch. from Princeton University and has worked in the offices of Richard Meier and Rafael Moneo. He was formerly the director, with landscape architect James Corner, of Field Operations. His practice, Stan Allen Architect, is based in Brooklyn.
Responding to the complexity of the modern city, Allen has developed an extensive catalogue of urbanistic strategies, in particular looking at field theory, landscape architecture and ecology as models to revitalize the practices of urban design. His urban projects have been published in Points and Lines: Diagrams and Projects for the City (New York: Princeton Architectural Press, 1999) and his theoretical essays in Practice: Architecture, Technique and Representation, published in 2000 by G+B Arts in their Critical Voices series. A revised edition of this book was published in 2009 by Routledge. He lectures and publishes extensively, both in the U.S. and abroad, and participates in numerous international design conferences and symposia.
In addition to design awards and competition prizes, Allen has been awarded Fellowships in Architecture from the New York Foundation for the Arts, The New York State Council on the Arts,
a Design Arts Grant from the National Endowment for the Arts, a Graham Foundation Grant, and
a President‘s Citation from The Cooper Union
in 2002.