area 127 | identity of the landscape

ETAR de Alcântara, Lisbon, Portugal (2005-2011). Photo by Diogo Bento

Molto si è già detto sul progetto di paesaggio e, spesso, si corre il rischio di proporre e accettare approssimazioni riduttive, generate dall’incredibile forza del contesto culturale contingente; approssimazioni che spesso portano ad affermare che il paesaggio, e il suo progetto, hanno a che vedere con la conservazione della natura, o con la creazione di bellezza, o con la scelta delle piante, o con altre visioni parziali, estremamente pericolose nel momento in cui diventano il concetto protagonista di un intervento.
Cercando meglio, troviamo una strordinaria diversità nella presentazione di interpretazioni del concetto di paesaggio: esiste una serie di definizioni di paesaggio che collocano il concetto esclusivamente nella dimensione dell’immagine, trascurando che, in qualunque momento del processo dinamico a cui, di fatto, il Paesaggio corrisponde, l’immagine è soltanto la manifestazione evidente di un funzionamento.
L’urgenza di trovare una definizione di paesaggio che possa orientare la pratica diventa assoluta
e la proposta che di seguito si presenta corrisponde a un tentativo di risposta a tale questione: una definizione per il concetto di paesaggio che permetta l’inquadramento effettivo ed efficace di interventi progettuali, e che, così, possa considerare il carattere processuale e dinamico del Paesaggio, l’idea di transitorietà di ogni momento della sua costruzione, la coscienza che i segnali proposti dalla nuova trasformazione che tale idea dovrà, concettualmente, animare, saranno sempre, volontariamente o involontariamente, tracciati costruendo relazioni con i segnali precedentemente impressi lungo la storia di quel paesaggio,
e, insieme con questi, costruiranno relazioni con i segnali corrispondenti alle trasformazioni future.
Paesaggio corrisponde ad un processo costruttivo dinamico che inizia con la genesi geologica stessa del territorio fisico e che si continua a costruire nell’espressione consecutiva di tutte le trasformazioni di carattere degradativo, entropico, attraverso i processi erosivi e meteorici, e attraverso processi di trasformazione associati al fissaggio della vegetazione, all’esercizio della vita della fauna e, in particolare, delle comunità umane.
Parliamo, dunque, di una continua sovrapposizione di segnali, ciascuno dei quali registra dei processi trasformativi spontanei, ogni movimento involontario e accidentale, ogni gesto intenzionale di trasformazione attraverso le sue tracce specifiche.

Ciò significa che, dall’origine della Terra, ogni luogo registra una continua sovrapposizione di segnali corrispondenti all’iscrizione di funzionamenti in cui ciascun processo è individuabile all’interno della storia di un luogo; se in determinati luoghi tale iscrizione si verifica secondo una successione cronologicamente determinata da un ordine di sovrapposizione (segnali geologici, fondativi, segnali entropici, degradativi e costruttori di suolo, corrispondenti ai processi meteorici, erosivi e pedogenetici; segnali biotici, generati dalla segnalazioni inerenti alla vita; e segnali antropici, corrispondenti alla costruzione di segnali prodotti dalle comunità umane), in altri luoghi quest’ordine di successione può essere improvvisamente invertito o alterato dalla repentina comparsa di un processo geologico di rifondazione, o semplicemente corrispondere al decorso in parallelo di svariati processi di questo tipo.
All’interno del dominio della genesi antropica (una restrizione rispetto ai processi di trasformazione del paesaggio) ogni comunità, ogni generazione, iscrive sul territorio i segni corrispondenti ai processi trasformativi che corrispondono alle sue convinzioni, e ogni comunità, ogni generazione cerca di trasformare il territorio con l’intenzione di ottimizzare le sue condizioni di sopravvivenza, di comfort, di sicurezza e di garantire la persistenza di queste condizioni ottimizzate per le generazioni successive.
Ogni generazione legge nel territorio e nelle relazioni tra quel territorio e il contesto – contesto economico, tecnologico, culturale, politico – un insieme di problemi dalla cui risoluzione, concretizzata attraverso azioni reali di trasformazione del territorio, potrà dipendere l’effettivo miglioramento delle condizioni di vita della corrispondente comunità.
I segnali che caratterizzano le trasformazioni corrispondenti comunicheranno il passaggio di quella generazione, di quella comunità sulla Terra, come una firma, in grado di tradurre i suoi valori, le sue convinzioni, la sua capacità di materializzarle, il suo talento nel dargli forma. Il futuro si incaricherà di dimostrare l’effetiva efficacia di quelle proposte, o il valore affettivo che i segnali che le hanno materializzate sono stati in grado di costruire con le comunità e che, eventualmente avrà prodotto la dimensione simbolica sufficiente al suo registro nell’immaginario collettivo delle popolazioni.
La costruzione del paesaggio è fatta di questi momenti e di questi segni, ed è importante sottolineare che, in ogni istante del processo della loro costruzione, i segni che si imprimono sono tracciati all’insegna della comprensione della loro relazione con gli altri segni a loro contemporanei e con tutti i segni che li hanno preceduti, dando origine, così, ad un tessuto complesso, trasversale nel tempo (dal momento che riguarda le relazioni contemporanee) e verticale nel tempo (dal momento che propone relazioni tra tempi differenti).
Il Paesaggio risulta da questa sovrapposizione continua nel corso di tempi lunghissimi ed è logico, pertanto, concludere che, se paesaggio ha a che vedere con spazio, avrà, senza dubbio, anche
a che vedere con tempo.
E se così è, lavorare con paesaggio, progettare la sua trasformazione cosciente – sia attraverso il progetto di uno spazio di parco, giardino, spazio pubblico, sia attraverso indicazioni di disegno e di lettura delle relazioni con il luogo nel progetto di edifici o di insiemi di edifici, sia ancora attraverso azioni di carattere associato alla pianificazione di azioni trasformatrici future – significa valutare le conseguenze nel corso del tempo delle azioni costruttive progettate, delle azioni trasformative proposte, e riuscire a sviluppare questa coscienza non solo attraverso la conoscenza del comportamento nel corso del tempo di ciascuna azione e del loro insieme, ma anche del modo in cui tali azioni si mettono in relazione con l’insieme di trasformazioni che, in quanto forma accidentale di costruire paesaggio, si sono succedute nel corso del tempo.
Ciò significa che, se partissimo da questa definizione di paesaggio (che possiamo definire semiologica, dal momento che si traccia a partire dal concetto di “segno” per gli elementi costitutivi dei processi trasformativi e dell’articolazione di questi segni in codici testuali capaci di permetterci di decifrare questi processi), se fossimo detentori della corrispondente chiave di lettura, il nostro lavoro di attori propositivi di processi di costruzione del paesaggio (distinguibili dagli altri attori di costruzione del paesaggio solo in quanto profondamente coscienti delle conseguenze delle nostre azioni, e di quelle degli altri con le quali le nostre si relazionano, e dei processi spontanei che si articolano con le une e con le altre) deve partire da un’attenta lettura del paesaggio stesso esistente, delle sue caratteristiche fisiche, fisiografiche, della sua storia evolutiva, dei processi che nel corso del tempo l’hanno disegnato, dell’insieme, insomma, di informazioni in grado di conoscere in profondità i meccanismi che agiscono attivamente nella sua dinamica e che, necessariamente, desiderati o indesiderati, saranno ancora parte di qualsiasi trasformazione che si voglia proporre.
La considerazione del concetto di Paesaggio come corrispondente ad una dinamica, ad un processo, paesaggio come meccanismo funzionante, sistema complesso di vari processi dinamici combinati, costituisce un punto di partenza per la constatazione di un’evidente identità disciplinare da parte dell’Architettura del Paesaggio, dal momento che l’atteggiamento concettuale di considerare i processi da progettare come dinamici, come funzionamenti attivi in relazione ai quali il progetto ha bisogno di prevedere, controllare ed anticipare non uno stato finale di concretizzazione di un processo costruttivo, ma un continuo processo trasformativo in cui ogni momento è tanto importante quanto qualsiasi altro, costituisce un atteggiamento profondamente peculiare all’interno del panorama delle discipline progettuali.
Di fatto, e da questo punto di vista, il metodo ha probabilmente più a che vedere con i processi delle bioscienze, in particolare con i progetti di biomodellazione in cui, in maniera controllata ma non deterministica, si cerca di prevedere, anticipare risultati di funzionamenti biologici fondamentalmente costituiti attraverso la proposta di relazioni tra entità biologiche differenti.
È precisamente ciò che l’Architettura del Paesaggio fa, dal momento che il suo progetto è, soprattutto, e per quanto riguarda la formulazione progettuale di tutto ciò che ha a che vedere con il materiale costruttivo vivente, una formula di enunciare relazioni tra organismi che si combinano, che si inscrivono nello stesso sistema in modo artificiale.
La specificità metodologica costituisce la più chiara dimostrazione di identità disciplinare e, di fatto, l’approssimazione disciplinare alla questione Tempo corrisponde ad un approccio unico nella misura in cui si prende in considerazione l’artefatto progettato come qualcosa di dinamico.
L’approccio alla questione progettuale contrasta, di fatto, profondamente, con quello di altre discipline progettuali, dal momento che, per esempio, nel progetto di Architettura, l’investimento del progetto è proteso alla produzione di principi e regole di organizzazione che si applicano durante un determinato periodo di tempo – il periodo di costruzione – nell’organizzazione di materiali differenti in uno stesso artefatto.
A partire dal momento in cui il processo costruttivo termina, momento di massima energia della sua organizzazione, l’artefatto inizia un processo che, considerando la natura degli elementi che costituiscono l’organizzazione, potrà essere solo di perdita di tale energia organizzatrice, ossia, un processo entropico, di degradazione, e non esiste forma per sfuggire a tale condensazione termodinamica, se non il tentativo di compensare, nel tempo, l’energia persa attraverso nuovi inputs, nel processo di manutenzione dell’artefatto che dovrà essere considerato, in questa prospettiva, como unico modo di allontanamento dall’inesorabile degrado a cui è destinato.
Come se fossero chiaramente coscienti di tale condizione delle proprie produzioni, gli architetti tentano, quasi disperatamente, di rendere eterno il magico istante che media la fine del processo costruttivo e l’inizio del processo di degradazione e, facendo in modo che il progetto sia fotografato in questo stato ideale; pubblicandolo soltanto in questo istante quasi irreale, lo registrano nell’impossibile condizione di eternamente giovane, affermando che questa è la condizione che gli interessa stabilire nella relazione con il tempo e negando, contemporaneamente, che il tempo dell’invecchiamento, dell’appropriazione, della trasformazione condizionata dalle necessità di manutenzione o di adattamento a nuovi programmi faccia parte della vita dell’artefatto.
Il fatto di lavorare con materiale vivo (che presenta, come inerente e intrinseca alla sua condizione di esistenza, la condizione di trasformarsi continuamente), associato al fatto che lo spazio si definisce, nel progetto di Architettura Paesaggista, attraverso gli elementi architettonici inerti tanto quanto attraverso questi stessi elementi vivi, significa che la coscienza della definizione dello spazio è, in ogni momento, transitoria, è presente in ogni momento della definizione del progetto.
Il progetto è così metodologicamente guidato dalla necessità di riferirsi non al perseguimento di un momento di finalizzazione del processo costruttivo di un artefatto, ma all’innumerevole congiunto di momenti differenti che caratterizzano la relazione tra i diversi elementi di un insieme di piante differenti, o di queste ultime con gli elementi inerti della costruzione.
Il Tempo diventa, così, l’elemento fondamentale di definizione progettuale, togliendo allo Spazio la sua condizione di unico protagonista.
In questa maniera, e mantenendo una nozione di decodificazione associata alla prima azione di progetto, al momento analitico, attraverso una conoscenza parziale specialistica dei diversi aspetti secondo i quali riusciamo a decodificare la complessa rete di scritture del paesaggio, penetriamo i misteri reconditi della sua storia, descriviamo i metabolismi che vi agiscono, comprendiamo quantitativamente e qualitativamente i meccanismi in funzione che permettoni di comprendere l’immagine che appare nel momento dell’analisi. Servendoci di discipline come l’Ecologia, la Geologia, la Geomorfologia,
la Pedologia, la Botanica, la Zoologia, l’Archeologia e la Storia, l’Antropologia e le altre scienze sociali, decodifichiamo il paesaggio, testo complesso, sotto molti dei suoi aspetti più o meno criptati.
Ma tutto questo sarà sufficiente per descrivere e spiegare il paesaggio? Basterà per questo conoscere profondamente tutti questi aspetti parzali, il cui approccio frammentato ci ricorda le metodologie di analisi-sintesi che, dagli anni ’60 fino agli anni ’90, caratterizzavano gli studi analitici di paesaggio, in un tentativo disperato, ma che traduceva lo spirito dell’epoca, di trovare una oggettiva ratificazione
e giustificazione del processo decisionale?
Evidentemente la risposta sarà negativa, una volta che resterà ancora da affrontare, nella nostra costruzione concettuale di una definizione per il concetto di paesaggio, tutta la realtà associata alla lettura, all’interprestazione, allo spazio dell’ambiguità e della differenza che corrisponde al fatto che ciascuno di noi legge nel paesaggio realtà differenti, interpreta una realtà che gli giunge filtrata tramite codici di osservazione differenti, corrispondenti alle diverse esperienze, alle molteplici basi culturali, ai contesti variati di lettura ed interpretazione.
Il Paesaggio sarà, quindi, una realtà costituita da due facce simultaneamente, da due entità coesistenti, una, di carattere materiale, decifrabile attraverso tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per la lettura, l’interpretazione e la rappresentazione della realtà materiale del mondo; l’altra, di carattere immateriale, associata alla costruzione, rispetto ad esso, dell’immaginario personale e culturale di rappresentazione. Il Paesaggio è, di fatto, le due cose al contempo e mai l’una senza l’altra.
Questo dato si rivela di straordinaria importanza quando capiamo che questa dimensione nell’ambito del concetto del paesaggio permette di enunciare una formulazione operativa indipendente dall’effettiva opportunità progettuale, potendo proporsi l’intervento efficace in quanto di trasformazione attraverso strategie di conoscenza e manipolazione delle condizioni di lettura del paesaggio, della coscienza di una realtà a cui una comunità può attingere, della costruzione di una realtà trasformata attraverso l’operazione del processo di interpretazione, attribuzione del valore (processi, del resto, che cosituiscono la strategia abituale del Marketing Territoriale).La domanda che, naturalmente, potremo porre dopo aver indagato la natura di questa strana realtà e, sopratutto, dopo il chiarimento rispetto al suo carattere che ci permette di comprendere gli aspetti effettivamente operativi del progetto di paesaggio, sarà riguardo la sua effettiva necessità.
A nostro parere, la necessità di progettare il paesaggio deriva dalla declassificazione di molti attori della costruzione / manutenzione del paesaggio, in particolare i contadini, e diventa obbligatoria di fronte alla posizione di rifiuto di un mondo costruito dalla delimitazione dei confini tra gli spazi di sacrificio, votati alla distruzione speculativa dei valori fondamentali del paesaggio,
e gli spazi di conservazione, costruttori di un mondo di cui le comunità umane non fanno parte.
Architettura paesaggista dunque come possibilità di disegnare l’armonizzazione tra la trasformazione che le comunità umane sognano e la conservazione delle condizioni di vita di tutte le comunità non umane con le quali dobbiamo dividere il territorio?
Questa è la nostra convinzione, descrivere come farlo è una storia più lunga…

Joao Nunez took the degree in Landscape Architecture at Institute Superior de Agronomia da Universidade Técnica de Lisboa, Master in Landscape Architecture at Escuela Tècnica Superior de Arquitectura de Barcellona, Universitá Politecnica di Catalunya.
Founder, as its main responsible member, of the Landscape Architecture‘s Studio PROAP - Estudos e Projectos de Arquitectura Paisagista Lda, where he practices his activity as a Landscape Architect.
He teaches at the same Institute where he achieved his degree, and extends his didactic activity as a lecturer in seminaries at various schools, as Harvard, Universitá di Girona, Escuela Tècnica Superior de Arquitectura de Barcelona, Istituto Universitario di Architettura di Venezia and the Politecnico di Milano.