area 109 | art and architecture

Marco Casamonti: Oliviero Toscani con i ragazzi della Sterpaia ha effettuato il servizio fotografico per l’inaugurazione dell’auditorium di Ravello opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, un intervento che non ritengo una semplice architettura, una sala che contiene delle funzioni per fare dei concerti, quanto piuttosto una vera opera d’arte che valorizza interamente il paesaggio della costiera amalfitana sulla quale si affaccia. Vorrei conoscere la tua opinione e avere il tuo sguardo critico su questa opera.
Oliviero Toscani: Non appartengo alla categoria di coloro che ritengono l’architettura qualcosa che debba conformarsi al paesaggio, e quando lo fa non si rivela mai un’opera d’arte. Viceversa essa deve essere in contrasto con ciò che la circonda poiché se da una parte esiste la natura, dall’altra esiste l’uomo e la cosa interessante è proprio questo rapporto.
M.C.: Nell’eterno scontro tra natura e artificio è anche giusto che il monumento riesca a imporre la propria presenza?
O.T.: Certamente, basta pensare alle piramidi che sono un elemento alieno nel paesaggio desertico egiziano oppure alla torre Eiffel a Parigi il cui progetto fu fortemente osteggiato all’inizio del secolo scorso proprio per l’effetto contrastante che provocava.
M.C.: Anche per quanto riguarda l’auditorium di Ravello si può parlare di una architettura che si impone sul paesaggio e che ha scatenato grandissime polemiche… Come ti sembra il risultato ad opera finita?
O.T.: Ho seguito personalmente la vicenda scrivendo anche varie lettere di sostegno al presidente della Fondazione Ravello Domenico De Masi. Ritengo di avere una visione molto particolare dell’architettura che cerca di non premettere mai il giudizio personale all’opera. A me piace la grande architettura anche quando non appartiene al mio gusto o alla mia filosofia perché amo vedere realizzata l’idea di qualcun altro. La mia scelta non sarebbe caduta su Niemeyer perché lo ritengo un architetto un po’ di regime ma ciò nonostante mi piacciono i suoi progetti: la sede del gruppo Mondadori a Segrate, il progetto di Brasilia e anche l’auditorium di Ravello perché la ritengo un’opera sorprendente e credo che uno degli scopi dell’architettura sia quello di sorprendere ed emozionare. Arrivando a Ravello noti l’auditorium e la nuova piazza che lo fronteggia, uno spazio pubblico unico che precedentemente non esisteva, un affaccio sul mare creato dalla modernità di Niemeyer.

images from "Razza Umana" and Santo Spirito project - photo by La Sterpaia
images from "Razza Umana" and Santo Spirito project - photo by La Sterpaia

M.C.: Il numero di area dedicato al tema “Arte e architettura” cerca di sostenere l’idea che ogni edificio debba creare emozioni costruendo un rapporto anche narrativo. Se l’architettura riesce in questo difficile compito allora si trasforma miracolosamente in opera d’arte, altrimenti si può annoverare alla categoria di semplice edilizia, una banale scatola che contiene funzioni.
O.T.: La Toscana è un esempio di regione-architettura in quanto è tutta artificiale, anche la terra, le vigne così ordinate, le strade, i casali in cima al poggio. Gli ambientalisti devono capire che ambientalismo non significa negare qualsiasi intervento architettonico bensì costruire bene.
M.C.: Come hai condotto il lavoro fotografico effettuato in occasione dell’apertura dell’auditorium?
O.T.: Ero interessato a effettuare degli scatti durante la giornata inaugurale per “Razza Umana”, un progetto che la Sterpaia sta sviluppando da tempo. Pensavo che avremmo potuto fotografare dei personaggi interessanti posizionandoli come sempre su un fondo bianco al fine di sottolinearne le differenze ma, al contempo,cercando di renderli neutri. Inoltre abbiamo fatto un reportage dell’auditorium e della giornata inaugurale.
M.C.: Io sostengo che i fotografi di architettura non dovrebbero riprendere gli edifici vuoti, ma una volta abitati e vissuti…
O.T.: Sono perfettamente d’accordo, l’essere umano mi incuriosisce più del paesaggio, sono un convinto antropocentrista, l’uomo è la cosa più interessante. Comunque torneremo a Ravello a fare un altro servizio fotografico magari con una luce migliore poiché la cosa determinante in una architettura è la luce che gli sta attorno, che si riflette nel paesaggio circostante, l’elemento fondamentale, e nel caso di Ravello ha sfumature molteplici: quella del mattino, quella del tramonto, colori che donano al luogo una strana magia.
M.C.: Tu ti occupi sia di architettura, ad esempio il tuo lavoro di ricerca sul ‘banale’ che abbiamo pubblicato sul numero 106 di area, sia di arte che, ovviamente, di fotografia. Che rapporto c’è tra queste discipline e come convivono all’interno della Sterpaia?
O.T.: La fotografia è un mezzo di comunicazione che serve a documentare ciò che rimane della memoria storica dell’umanità, quindi è un documento umano che rimarrà per sempre, in fondo tutti noi saremo ciò che siamo in fotografia. Io sono un tifoso di architettura perché secondo me è l’espressione di comunicazione che più si avvicina all’arte, perché appartiene all’arte plastica e al contempo coinvolge la condizione umana. Qualsiasi arte che si fermi solo alla forma, alla composizione, all’estetica non può essere che mediocre e anche se di alta qualità apparterrà sempre alla categoria della mediocrità. L’unica arte che si può chiamare tale è quella che coinvolge la condizione umana.
M.C.: In che misura le varie arti, le diverse discipline si confrontano all’interno della tua scuola?
O.T.: Più che una scuola la Sterpaia è una bottega dell’arte rinascimentale. C’è un maestro che lavora con altri maestri che collaborano con noi occasionalmente e c’è un gruppo di giovani che lavorano e impara facendo: questo è il mio laboratorio. Le discipline si intrecciano continuamente: musica, video, fotografia, architettura, design è tutto legato e sempre di più.
M.C.: Quindi la peculiarità di questa bottega-laboratorio-atelier è che queste arti si confondono tra loro, non c’è una vera distinzione.
O.T.: Una ha bisogno dell’altra: la grafica ha bisogno della fotografia che ha bisogno del suono, del video etc.
M.C.: Quando è nata la Sterpaia e quando hai sentito l’esigenza di concentrare parte dei tuoi interessi e della tua attività su questo laboratorio?
O.T.: Ho sempre lavorato in questo modo perché in realtà non ho mai posseduto un vero studio ma solo una specie di bottega. L’origine risale alla creazione di Fabrica, come si chiamava allora, fondata all’interno dell’azienda Benetton, ma ben presto mi resi conto che il fatto di appartenere a un marchio così noto era troppo limitante. Allora decisi di fondare una scuola mia che chiamai Sterpaia perché collocata all’interno del parco di San Rossore sperando che la regione capisse le potenzialità di questo laboratorio aiutandoci a finanziarlo, ma non è andata precisamente così per cui adesso la Sterpaia è diventata la bottega di Oliviero Toscani. Ha una sede a San Rossore che ospiterà l’archivio fotografico e una sede nel paesino dove abito a Casale Marittimo. A me interessa decentralizzare completamente l’attività, pensa che diressi il giornale Colors da un prato, quindi ritengo che sia fondamentale trovare un luogo che per gli altri è di villeggiatura e lavorare da lì. La parte creativa, il nucleo da cui nascono le idee è a Casale Marittimo, poi abbiamo un ufficio a Milano e continueremo ad aprire altre botteghine così un po’ in tutta Italia. Quello che ritengo fondamentale è la decentralizzazione.
M.C.: Come funziona la Sterpaia: quanti anni dura e come avviene la selezione degli studenti?
O.T.: Chi vuole entrare alla Sterpaia deve presentare un portfolio dei propri lavori, dopo di che lo incontriamo un paio di volte, lo guardiamo in faccia, lo mettiamo alla prova e se passa rimane. La durata del soggiorno è di circa un paio di mesi, vitto alloggio compreso è uno stage in cui imparano moltissime cose e dal quale nessuno vuole andare più via. Alcuni ad esempio sono con noi da ben quattro anni e ormai sono diventati dei maestri per quelli appena arrivati.
M.C.: Lo scorso ottobre hai presentato a Firenze il libro dedicato a Santo Spirito, storico quartiere fiorentino, risultato di un progetto fotografico, fatto con i tuoi ragazzi, e interamente dedicato ai luoghi del quartiere, alla sua gente, alle sue strade, alle chiese, alle case, ai negozi, alle botteghe artigiane, ai musei e gli angoli più nascosti. Con il risultato di oltre 21.000 scatti. Questo progetto che prevede di vivere determinati luoghi e i loro abitanti fermandoli e memorizzandoli attraverso le immagini è un lavoro che sta continuando e vedrà la scoperta di altri quartieri nascosti? Quali sono i progetti più importanti a cui state lavorando in questo momento?
O.T.: Purtroppo in Italia è piuttosto difficile portare avanti dei progetti di questo genere poiché disgraziatamente il nostro è un paese seduto e nessuno investe in cultura, che paradossalmente è diventata la cosa più economica che si possa comprare. Relativamente al progetto dedicato al quartiere di Santo Spirito andremo a proporlo ad altre città fotografando in quel modo, con i giovani allo sbaraglio, altri luoghi interessanti. Per quanto riguarda il progetto “Razza Umana”  la prossima meta è la Terra Santa dove andremo a fotografare gli arabi e gli ebrei mettendoli nuovamente a confronto, da lì vorremo iniziare a portare questo progetto in giro per tutto il mondo. A Pisa, invece, con Salvatore Settis e l’università Normale svolgeremo uno studio sul territorio, un mio vecchio progetto che risale a trentacinque anni fa dal titolo “Il nuovo paesaggio italiano” finalizzato a compiere una ricognizione del territorio indagandone le metamorfosi. Studenti della Normale di Pisa e stagisti della Sterpaia lavoreranno insieme per portare a compimento una mappatura del paesaggio italiano. La nostra intenzione è quella di creare dei foto-delatori capaci di effettuare una specie di monitoraggio del territorio nazionale raccontandone lo stato.

La Sterpaia, Bottega dell'Arte della Comunicazione, è il punto di incontro tra creatività e imprenditoria, tra formazione e produzione, rappresenta un nuovo modo di coniugare cultura e industria, arte ed economia, idee e mercato attraverso la comunicazione intesa come espressione di una "cultura industriale". È una factory etica che produrrà innovazione culturale, un'incubatrice di nuove creatività, un media lad interdiscipilinare.