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L’immaginario cinematografico dell’architetto è segnato dal passaggio epocale della città asfittica di Blade Runner, dove ogni singolo lotta per la propria causa, agli spazi virtuali e labirintici di Matrix, dove, tra trame di dati che scorrono verticalmente, il protagonista lotta coadiuvato da un manipolo di esperti di nanotecnologie. La metafora è chiarificatrice e anticipa quanto sostiene il libro di Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab del MIT di Boston.
La città è diventata un universo di dati che si interpolano, si sovrascrivono, a disposizione per essere intercettati, interpretati, tradotti in nuovi dati, che agiranno su dispositivi e mappe, a cui seguiranno scelte territoriali e infine fatti urbani. Chi è al centro di questo processo di osservazione (sensing), risposta (actuating) e innesco dei processi (feedback loop)? Non è più l’architetto. Questi è parte di team multidisciplinari dove sono condivise conoscenze e capacità, dove informazioni e stimoli sono di tipo bottom-up, e il sistema decisionale è open source al pari di quelli informatici. Ne consegue una visione della città quale luogo di interazione tra individui e flussi di informazioni in grado di influenzarne le scelte. Se da un lato la smart city induce all’innovazione dei sistemi in grado di regolare i semafori e le code del traffico, dall’altro suggerisce il ripensamento dei fondamentali valori per la costruzione di luoghi architettonici dove i desideri dei singoli interagiscono con la collettività.

Carlo Ratti
Architettura open source. Verso una progettazione aperta.
Einaudi 2014