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la visione dello chef Massimiliano Alajmo

Appartenente ad una antica famiglia di ristoratori veneti, dopo il conseguimento del diploma alberghiero, nel 1990 approfondisce la sua esperienza presso vari ristoranti in Italia e all‘estero. Dal 1993 con il fratello Raffaele Alajmo si dedica al ristorante di famiglia, ”Le Calandre” a Sarmeola di Rubano (PD), che nel 1996 otterrà la seconda stella Michelin divenendo così il più giovane cuoco della storia europea a ricevere tale riconoscimento. Nel novembre del 2002 si aggiudica la terza stella, confermandosi uno dei principali chef a livello europeo.
www.alajmo.it

area: Quali sono le caratteristiche che configurano lo spazio in cui lavora il cuoco? Deve essere preferibilmente scuro oppure luminoso, di che tipo di luce ha bisogno per lavorare e quale clima e temperatura?
Massimiliano Alajmo: Lo spazio è strettamente legato alla luce e il riferimento ideale è certamente rivolto verso una dimensione interiore.
area: La configurazione dello spazio cambia in funzione della preparazione dei cibi?
M. A.: Lo spazio principale sul quale dobbiamo lavorare riguarda noi stessi.
area: Qual è l’ambiente ideale dove consumare i suoi piatti?
M. A.: Nel nostro ristorante, che è stato realizzato per accogliere e offrire al meglio le pietanze. È un dialogo sinestetico che fa interagire i vari sensi nella direzione essenziale della nostra ricerca.
area: È giusto secondo lei, distinguere l’ambiente della preparazione del cibo dalla sala da pranzo?
M. A.: Sì, ma non sempre. Vi sono alcune culture che coinvolgono in maniera più diretta l’ospite. Nel nostro caso manteniamo un rapporto trasparente, ma nel contempo intimo.
area: Condivide la tendenza a progettare cucine trasparenti, in vetro, attraverso le quali è possibile osservare le fasi di preparazione dei piatti? E secondo lei da quale esigenza nasce questo nuovo orientamento?
M. A.: Ritengo (nel nostro caso) come ho già accennato poco fa, che sia affascinante rassicurare l’ospite e solleticare la sua immaginazione, senza però negargli l’intimità che comunque cerca.
area: Quanto incidono il design e la qualità estetica negli spazi della cucina, rispetto agli aspetti più funzionali?
M. A.: Per quanto mi riguarda, l’estetica è in funzione del contenuto.
area: Che legame c’è tra i materiali degli utensili che impiega e i cibi che prepara?
M. A.: È un aspetto molto affascinante perché richiede esperienza, competenza e sensibilità. I cibi si esprimono differentemente in relazione ai materiali e alle forme.
area: Quanto influisce la tecnologia e il design sul suo modo di cucinare?
M. A.: Il mio punto di vista: la tecnica non è digeribile e il design dovrebbe essere la forma rappresentativa di un concetto. Ciò significa che la tecnica è un mezzo e la forma la conseguenza estetica dell’intenzione.
area: Nella preparazione dei cibi, quanto conta l’estetica, il design, la messa in scena del piatto? Oltre che in funzione del gusto, quanto conta l’abbinamento cromatico estetico della composizione?
M. A.: Tutto nel piatto conta e, a dire il vero, molto di ciò che gli sta attorno. Più di tutto conta l’intenzione dell’ospite e l’armonia che egli può generare.
area: Quanto conta il valore estetico del piatto: il colore, la forma delle stoviglie, delle posate… La produzione attuale di oggetti per la cucina, a suo parere, copre interamente le esigenze del cuoco o pensa che ci sia la necessità di investire ancora sulla ricerca e sul design?
M. A.: La invito a degustare il “Gioccarita” (di cui trova l’immagine in allegato), un dolce dedicato alla mia piccola Mariarita. Durante questo percorso – composto da 12 elementi completamente sconosciuti all’ospite – viene consegnata una bustina contenente 12 figurine (disegnate da Kimberly McKean e Giorgio Cavazzano) raffiguranti ogni elemento del dessert. Vi è uno studio sui cromatismi, sulle forme che forzatamente ci catapultano nella mente immaginaria di un bimbo che, ancora privo di memoria gustativa, vive la scoperta gastronomica in relazione alla sua naturale sensibilità, traducendo il sapore in un nuovo linguaggio figurato.
area: È pensabile un’evoluzione del piatto e della posata?
M. A.: Certamente, anche se spesso oggi l’evoluzione guarda al passato per riappropriarsi di un dialogo materico istintivo, troppo spesso negato dalla distanza dettata dalla posata o da un contenitore, che a volte è troppo sofisticato e violenta il cibo in esso trattenuto.