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Così cambia e si arricchisce la nozione di paesaggio. Da luogo della relazione e del movimento (Mouvance), a emblematica connotazione di nuove dinamiche che si nutrono del cambiamento (Mutation), a luogo di nuove densità per la conservazione delle diversità biologiche (Terzo Paesaggio), il paesaggio si lascia ora indagare alla luce delle sue implicazioni etiche, civili, giuridiche e morali, in un dibattito che attraversa il Paese. È l’ora della politica? Sembrerebbe piuttosto l’ora del recupero di nozioni più antiche (da Carlo Cattaneo ad Aldo Rossi) che guardano al territorio come a una trama collettiva e resistente, la cui identità è data dalle istanze, dai desideri, dalle proiezioni delle collettività che lo attraversano. È qui, che le figure del paesaggio incontrano le più antiche figure costituzionali e amministrative che parlano del paesaggio come di un luogo estraneo ad un uso esclusivo. È l’ora dei beni comuni.

All’inizio c’erano i beni pubblici, di proprietà dello stato o degli enti locali. Poi, con argomentazioni sempre più stringenti, si è parlato di beni comuni. In una situazione esplosiva e magmatica, dove viene maturando una tensione a uscire al più presto e nella maniera più responsabile dal regime esistente (di privilegi, di abusi, di alienazione dei diritti delle persone e dei cittadini e anche degli altri esseri viventi) e, insieme, a liberarsi da distorte verità dominanti, per costruire rapporti nuovi, integralmente corretti. Come aiutano a capire tre molto significative pubblicazioni recenti, non si sta parlando di desideri o di utopie.

Il primo testo “Il paesaggio come bene comune“ è una “lectio” di Salvatore Settis, tenuta a Napoli e pubblicata poi come plaquette. A monte ci sono i precedenti interventi, come il fondamentale “Paesaggio Costituzione Cemento“, Einaudi (2010), a cui si aggiunge “Azione popolare. Cittadini per il bene comune“, sempre Einaudi (2012). Il riconoscimento del bene comune, il cui primo referente è costituito dal paesaggio, non può che scaturire da una lucida presa d’atto secondo cui l’interesse del singolo debba subordinarsi al bene comune e, dunque, al prevalente interesse pubblico. Il postulato non è un principio astratto, ma è pienamente supportato istituzionalmente, in quanto si appoggia alle prospettive della Carta costituzionale. In essa, soprattutto in forza dell’art. 9, Stato e società sono vincolati ad assumere il paesaggio-bene comune come terreno di prova della propria civiltà in tutte le declinazioni dei vari aspetti (dal giuridico all’etico, al politico, all’economico).

Su un altro asse, indirizzato a contrastare gli effetti indotti dai processi di intensificazione del pianeta, si dispone il testo "Beni comuni. Un manifesto" di Ugo Mattei  (2012). Consapevole studio di parte, come recita il sottotitolo, con energia polemologica, il bene è gettato sul piatto della bilancia del giusto e dell’ingiusto, del razionale e dell’irrazionale, dalla parte del giusto e del razionale. I valori contro cui ci si dispone in inconciliabile antitesi, hanno radici nelle terribili contraddizioni del nostro tempo. Centrale, fra le questioni, è la possibile fuoriuscita dall’abbraccio stritolante delle privatizzazioni e la restituzione alla persona umana, e più in generale alla vita, della dignità e libertà. La strada da intraprendere, per Mattei, “è quella della istituzionalizzazione, a qualunque livello politicamente possibile, di un governo partecipato dei beni comuni”.

Una serrata analisi della realtà anche giuridica è il saggio "Il territorio bene comune degli italiani" di Paolo Maddalena, Donzelli (2014). Il discorso ritorna su vive questioni dell’Italia di oggi. Nella seconda parte del libro si tratta dello squilibrio economico-finanziario, mentre nella prima si affrontano i problemi della devastazione ambientale e delle privatizzazioni, che in Italia hanno assunto un profilo proverbiale. Il prudente, attrezzato raziocinare si indirizza ad assumere il punto di vista non tanto della culturalità, cioè dell’ambiente, come in Settis, ma dell’irrefutabile materialità, su cui abbiamo i piedi poggiati, del territorio, osservato nell’ottica di decisive indicazioni della Carta costituzionale e delle fondamentali leggi dell’equilibrio della vita.

Le appassionate discussioni impegnate su questo fronte, delle inversioni delle tendenze rispetto all’esistente, non sono affatto marginali rispetto al tema della città, ma sono solo un decisivo riscontro di quanto oggi la città dell’uomo, dalle complesse e interattive dimensioni planetarie, abbia imprescindibile necessità sia di un nuovo trend di riflessioni, sia di pacata intelligenza e di buona amministrazione.