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Nel corso del suo lungo dominio nel mondo dell’arte americana, durante gli anni sessanta, Clement Greenberg abbracciò la teoria della separazione delle arti e della purezza delle diverse discipline.
Il soggetto di un dipinto è la pittura stessa, è il modo in cui è stata applicata, il colore, il tipo di tratto; il dipinto non dovrebbe creare illusioni a livello spaziale, dovrebbe essere piatto, non dovrebbe rappresentare nient’altro che sé stesso. L’unitarietà dell’opera dovrebbe essere immediatamente palese, il dipinto dovrebbe possedere una propria unicità, poter essere compreso al primo sguardo.
Massimiliano Fuksas sarebbe stato scomunicato da Greenberg, papa dell‘arte d‘America. Fuksas è innanzitutto un pittore e, innanzitutto, un architetto: le due discipline sono portate avanti simultaneamente, spesso contemporaneamente, immagini appartenenti al dominio dell’architettura vengono integrate nei dipinti, i gesti del pittore e la sensibilità dell’artista si ritrovano nelle architetture. L’architetto romano è infatti un espressionista astratto in entrambe le arti, produce ibridi integrando le diverse discipline. A Greenberg non piacerebbe. Eppure Fuksas è stato in buona compagnia negli ultimi 25 anni. Si potrebbe infatti sostenere che gli esempi di architettura più innovativi sono opera di architetti che hanno “contaminato” l’architettura stessa con esperienze derivanti da altri settori, con operazioni che hanno aperto una crepa all’interno della disciplina. Zaha Hadid è stata influenzata dal Suprematismo, Bernard Tschumi dall’arte performativa; Peter Eisenman ha importato il Decostruzionismo mentre Daniel Libeskind la Fenomenologia e la testualità. Frank Gehry è stato influenzato dal movimento “Luce e Spazio” portato avanti dagli artisti del sud della California, Wolf Prix della Coop Himmelbau ha subito l’influenza della musica rock e della sua esplosiva intensità. L’architetto francese Claude Parent è stato un onnivoro che si è cibato di filosofia e arte; esiste inoltre una nuova e intera generazione che ha importato nei propri studi e sui propri schermi algoritmi esotici, pensati per settori diversi, si pensi a Greg Lynn, Hani Rashid, Lise Anne Couture, Jesse Reiser e altri.
Insieme, come parte di un gruppo, gli architetti hanno rotto il legame con il post-modernismo evitando le influenze derivanti dalla storia dell’architettura: non si prende più come riferimento il Palladio per tentare di ottenere un’architettura palladiana, non si cerca più di mantenersi entro i confini disciplinati dell’architettura, ci si apre piuttosto ad altre teorie di pensiero, ad altri sistemi, ci si lascia contaminare da altri settori, si osserva l’architettura con prospettive diverse, in modo che questa disciplina possa svilupparsi e ramificarsi. Il risultato di questa operazione è stato quello che i biologi chiamano vigore dell’ibrido. Per Fuksas e i suoi colleghi l’architettura non è un’isola ma un sistema aperto che si nutre di ciò che arriva da altri sistemi. Fuksas fa parte di quel gruppo di architetti che hanno attinto a piene mani dalla cultura contemporanea che li circondava piuttosto che limitarsi a cercare insegnamenti da un passato remoto e freddo. L’artista ha progettato e progetta immerso in un presente dai toni intensi.
Nel contesto italiano, la posizione di Fuksas non è certamente nuova: i maestri del rinascimento come Leonardo e Michelangelo spaziavano tra arti diverse, i pittori italiani erano soliti riportare alcuni dettagli reali dell’architettura sui propri dipinti murali o sui soffitti affrescati, rendendo meno nitido il confine tra illusione e realtà. Non esisteva una netta separazione tra le diverse discipline, che erano piuttosto complementari, che tendevano invece a sovrapporsi. Fuksas non ha fatto altro dunque che rinnovare la tradizione degli artisti rinascimentali, introducendo l’astrazione al posto della rappresentazione. Eppure, recentemente, alcuni esponenti dell’arte e dell’architettura hanno cercato di tenere religiosamente separate le diverse discipline. Richard Serra, ad esempio, sostiene che gli architetti non possono realizzare sculture, poiché non si può parlare di scultura in presenza di tubazioni.
Philip Johnson ha dichiarato di non aver mai lasciato che l’arte, di cui è un collezionista, influenzasse le proprie opere di design. Fuksas, tuttavia, non si attiene all’interpretazione puramente letteraria: non traduce l’arte in architettura e viceversa, così come fece Le Corbusier, il quale si dedicava alla pittura in modo serio e costante. Quest’ultimo tradusse principalmente le proprie nature morte in design, realizzando il corrispondente architettonico di una tavola ben apparecchiata, si pensi al panorama urbano creato dai tetti delle sue Unités d’Habitation; persino il piano urbanistico per il Chandigarh era aratterizzato dalla presenza di edifici-oggetto posizionati su una superficie piatta come in un quadro. Fuksas non traduce le proprie immagini astratte ed esuberanti in architetture, non a livello letterale; la relazione tra le due è molto più sottile. La maggior parte dei suoi dipinti inseriscono i diversi edifici, o un accenno di questi, in un contesto, in un campo energetico fatto di sfondi acquerello, colori, macchie, linee e passaggi realizzati, a volte, a matita. I dipinti, solitamente acrilici, ricordano Anselm Kiefer, Willem de Kooning e, forse, Cy Twombly ma sono, nella maggior parte dei casi, ascrivibili puramente a Fuksas, alla sua mano attiva, alla sua ricca immaginazione. Diversamente da altri, non importa una disciplina all’interno dell’altra, opera piuttosto sempre come un artista, sia che si trovi nel campo della pittura che dell’architettura. Grazie alla propria sensibilità d’artista, Fuksas riesce a trovare e a sviluppare, in ogni incarico, un potenziale artistico.
I suoi dipinti, imprevedibili e tipicamente incostanti, danno vita a sentimenti e sensazioni che permeano l’edificio e vengono assorbiti dal tessuto stesso di questo. È ironico come Fuksas utilizzi uno stile libero e impreciso che può definirsi astratto ed espressivo, o addirittura rientrante in quello che Greenberg definiva espressionismo astratto, tranne che per le rappresentazioni architettoniche. I suoi dipinti sono voluttuosi, generosi, gestuali, belli, intensi. L’occhio si sposta sulla tela, schiavo del suo centro di gravità indipendente, i quadri di Fuksas sono immediati e unici.
Se si da per scontato che, per l’architetto, i dipinti siano gradini che conducono all’architettura vera e propria, i quadri di Fuksas potrebbero essere considerati come un esercizio di meditazione, perfino una fase d’incitamento, che scorta l’artista fino alla zona creativa. Fuksas realizza ovviamente dei diagrammi architettonici creati a mano libera, in modo gestuale, che tuttavia non sono disegni onirici, non sono evocativi e “pittorici” tanto quanto i suoi dipinti, che sembrano invece pensati proprio per liberare gli edifici e trasportarli verso l’imprevisto. In ogni caso, mai si tratta di una rappresentazione letterale degli edifici, piuttosto di disegni realizzati durante l’agonia di un sogno.
Prima di affrontare ogni incarico, Fuksas legge certamente tutte le carte, conosce le direttive in merito alla zonizzazione e ogni altra specifica relativa al progetto; l’antidoto a regole e regolamenti è proprio la tela o il foglio di carta, a cui Fuksas si approccia con la stessa bramosia e con lo spirito selvaggio di un bambino di quattro anni con in mano un pennello. I suoi dipinti sono generosi, spontanei, intelligentemente impulsivi e spostano il limite dell’esplorazione architettonica canonica.
Le immagini sembrano sentire l’urgenza di sollevarsi e poi sgonfiarsi sulla tela.
Piuttosto che tradurre il soggetto delle proprie tele in architettura, Fuksas incanala semplicemente l’energia dei propri dipinti; in ogni caso, l’intensità e la furia presenti nelle tele dimostrano chiaramente come l’artista si immerga completamente nel dipinto, nuotando tra i sentimenti che egli stesso coltiva; Fuksas dà forma visibile alle emozioni, quindi le costruisce.
La realtà non scritta, e forse inscrivibile, della produzione artistica è che l’artista non può creare affrancandosi dalla propria indole e personalità; se dunque Fuksas opera riportando in architettura l’urgenza emotiva presente nei propri quadri, non fa altro che essere fedele a sé stesso. Le due arti, nella pratica di Fuksas, condividono uno stesso impulso, che non va perdendo di intensità nel corso della traduzione. Gli edifici di recente progettazione sono particolarmente gestuali, travolgenti, in pieno movimento, caratterizzati da giustapposizioni improvvise ed energiche. Tele e architetture non hanno in comune dunque elementi concreti, non sussiste una sovrapposizione a livello di immagini, condividono piuttosto la stessa intima natura.
Basta osservare alcune immagini del MyZeil di Francoforte o dello showroom di Armani sulla Fifth Avenue, per percepire la pura energia delle forme e degli spazi, l’intensità delle curve che si comprimono e si espandono, in un flusso continuo che alterna irrigidimenti e fasi di relax. Gli ambienti tumultuosi richiamano le tempeste minori che l’artista crea sulla tela; è il senso dei propri dipinti che viene riportato in architettura, non le forme. Così come l’occhio si muove sulla tela, allo stesso modo vaga negli spazi, la percezione guida i sensi, garantendo al corpo un’esperienza ancora più intensa.Alla voluttuosità dei dipinti corrisponde la voluttuosità degli spazi. Fuksas crea mondi. Il disegno permette probabilmente all’artista di godere di un certo distacco, di liberarsi dal quotidiano, dai limiti della gravità; da quello che Richard Serra definisce “le tubature”. Fare esercizio di libertà attraverso la pittura significa praticare la disciplina dell’invenzione.
Fuksas sostiene di non avere uno stile, eppure, sin dagli esordi, dimostra la stessa ferocia, in architettura come sulla tela.I progressi della tecnica applicata all’architettura, in particolare i nuovi strumenti di calcolo, hanno permesso all’artista di sperimentare la propria passione fino in fondo; la tecnologia sempre più avanzata gli hanno infatti reso possibile trasporre in architettura i sentimenti esplorati e verificati a livello pittorico.
Fuksas esordisce nel mondo ortogonale, ma anche in quel mondo era chiara l’esigenza di una ricerca che portasse alla realizzazione di edifici maggiormente evocativi a livello emotivo, c’era bisogno di sensibilità artistica. Le facciate in calcestruzzo della chiesa di San Paolo a Foligno (Italia) sono minacciose, le finestre spigolose hanno un carattere interrogatorio e consentono a trapezoidi di luce di penetrare e scavare misteriosamente i monoliti in calcestruzzo della pareti. Tra gli edifici memorabili vi sono sicuramente le Distillerie Nardini, progetto realizzato nel 2004, vicino a Venezia. In questo caso, Fuksas progetta una serie di grandi capsule in vetro, chiuse, complesse, sofisticate e populiste al tempo stesso.Le “bolle” ricordano i cartoni animati di Archigram, ad un secondo sguardo tuttavia, si nota come il progetto sia, in realtà, un insieme complesso di forme e spazi, in grado di creare una turbolenza ambientale rara in architettura, una turbolenza che diventerà sempre più una caratteristica distintiva dell’opera di Fuksas, un tumulto emotivo che è più facile ritrovare in opere di Jackson Pollock o di de Kooning.
Con il progetto per le Distillerie Nardini e altri, Fuksas entra nella fase “curvilinea”, il risultato a livello “geometrico” è talvolta ipnotico, ci sono curve, curve che si fondono con altre curve e controcurve ricordando l’architettura barocca italiana, in particolare romana. Tra i precedenti di Barocco romano maggiormente pertinenti, ma spesso ignorati, vi è il tetto ondulato di San Pietro, un paesaggio marino caratterizzato dalla presenza di onde che si muovono al di sopra degli interni più controllati e autoritari. Il tetto, che non è frutto di un reale progetto, rivela le volte interne e va progressivamente fuori controllo. Il tetto di San Pietro è una delle architetture di riferimento più affascinanti per le coperture ondulate che fluttuano su tutta una serie di progetti di Fuksas. In quest’ultimo caso, le costruzioni sono state rese possibili grazie all’impiego del computer, ma erano comunque già presenti nei diversi disegni dell’artista. Il palazzo della Fiera di Milano presenta un lungo tetto in vetro che fluttua, come un’onda, sulla spina dorsale centrale del progetto, si srotola come mosso dal vento, più leggero dell’aria stessa. In questo caso, Fuksas ha goduto del lusso di poter lavorare sulle grandi dimensioni, ha dunque potuto permettersi di dare alla copertura un’andatura ambiziosa, di creare movimenti e forme che arrivano a “invadere” i piani inferiori. L’artista crea cunicoli di tarlo che si inseriscono negli ambienti sottostanti, dando vita ad ambientazioni eccezionali e d’impatto. La struttura reticolare, con una griglia che si espande come un tessuto sintetico, è lontana anni luce dalle strutture dritte, rigide e altamente razionali dell’era precedente. Se all’apparenza la copertura risulta non strutturata, libera, nella realtà è invece frutto di una virtuosismo tecnico alla tastiera e di una stretta collaborazione con costruttori e appaltatori. Con il maturare dell’esperienza, Fuksas si lancia in progetti sempre più ambiziosi, sempre più distintivi; l’artista comincia a dipingere con il computer.
Molti sono gli architetti che hanno deciso di utilizzare coperture curve, coperture che tuttavia fluttuavano su piani che rimanevano tali, che non venivano assolutamente invasi dalle forme curvilinee del tetto, si pensi al fazzoletto in vetro che galleggia sul padiglione dedicato all’arte islamica del Louvre. Il contributo di Fuksas, in questo settore, si manifesta con la presenza dei cunicoli di tarlo o forme elastiche nel tetto o nelle pareti, l’artista fa entrare l’involucro all’interno del tessuto più convenzionale dell’edificio, crea una particolare tensione esperienziale ed estetica grazie alla giustapposizione delle forme, grazie alla presenza di linee diritte e curve, compressione ed espansione, dinamismo e staticità. La sezione del MyZeil di Francoforte è straordinariamente ricca, al limite di quello che Rem Koolhaas avrebbe descritto come “delirante”.
Alla richiesta della committenza, che va prediligendo strutture più convenzionali, Fuksas risponde con interesse, ma sempre con un imperativo artistico alimentato da un impulso emotivo: l’artista non realizzerà mai un’opera che risulti distaccata, distante, l’esperienza sarà sempre di tipo immersivo, così come avviene nella suggestiva chiesa di San Paolo o nel più recente impianto scenografico progettato per il teatro greco di Siracusa, un palcoscenico vertiginosamente riflettente. Fuksas, in questo caso, va alla ricerca del giusto contenuto emotivo dando colore all’oggetto. L’artista coltiva l’elemento di soggettività.
Si era soliti affermare che il bravo architetto si potesse giudicare dal modo in cui progettava librerie e scalinate. Poi è arrivata la Cina, in cui si moltiplicano progetti di enorme portata, di dimensioni mai viste, che richiedono l’impiego di migliaia di operai; si potrebbe dunque affermare che, ad oggi, il buon architetto si giudica dal suo ultimo aeroporto progettato. Fuksas ha appena portato a termine il progetto per il Bao’an International Airport di Shenzhen e, perfino confrontandosi con le enormi dimensioni, l’artista è riuscito a conferire all’architettura la stessa intensità presente sulle sue tele e nei progetti più piccoli. La copertura del tetto, così come le pareti, presenta una travatura reticolare curvilinea, con curve composte che entrano ed escono armoniosamente le une dalle altre creando spazi che sono, al tempo stesso, delicati e spettacolari, coperti da soffitti dalle forme intriganti. In assenza di colonne interne, i lucernai diventano elementi di sostegno necessari, che dimostrano grande indipendenza nel dare forma allo spazio. Benché il processo di progettazione architettonica e ingegneristica di edifici di tali dimensioni sia solitamente estenuante, l’aeroporto, in questo caso, conserva una propria grazia, l’energia, il proprio carattere sorprendente; scampa addirittura alla patinatura che l’impiego del computer conferisce solitamente alle strutture. Marshall McLuhan parlava di mezzi di comunicazione freddi e caldi, ebbene, l’impiego del computer produce spesso un’architettura troppo rifinita, troppo perfetta, pertanto distante, come immersa nel vuoto. Messo nelle mani di Fuksas invece, forse proprio perché l’artista ha prima lavorato su tela, il computer diventa un medium caldo, in grado di riprodurre sulla grande struttura architettonica, la stessa spontaneità di un piccolo quadro. Fuksas è maestro in due discipline, utilizza due lingue con la stessa maestria, due lingue con cui comunica un messaggio simile.

Joseph Giovannini  critico, autore, professore e architetto con sede a New York – è una figura di spicco del panorama architettonico americano. Nominato al premio Pulitzer per la critica di architettura è autore di molteplici monografie e saggi di cataloghi museali. Ha insegnato nelle più prestigiose università degli Stati Uniti: Columbia University, Harvard, UCLA e USC. I suoi studi teorici si applicano anche alla pratica professionale che lo vede impegnato nel design di appartamenti, loft, gallerie ampiamente pubblicati sulle principali riviste. È noto per i suoi Space Paintings tridimensionali.