area 119 | gaetano pesce

year: 2007

L’ispirazione per i tre armadi denominati “Mantegna, “Horse” e “Arquà“ nasce durante un viaggio in Italia, nell’ottobre del 2006. Ero andato a visitare delle mostre sul Mantegna
a Verona, Mantova e Padova e, visto che mi trovavo in zona, ho deciso di andare di nuovo ad ammirare il Crocifisso di Altichieri, nell’oratorio di San Giorgio a Padova e di visitare la splendida cittadina di Arquà, sui colli Euganei, là dove Petrarca trascorse gli ultimi anni della sua vita. Nel corso di quel viaggio, come faccio sempre, mi sono trovato a riflettere sul fatto che il design non dovrebbe limitarsi ad essere un’espressione pratica della forma o della decorazione; dovrebbe piuttosto comunicare il punto di vista personale dell’artista, un’opinione politica, religiosa, esistenziale e, in questo caso specifico, il suo contenuto avrebbe dovuto essere legato alla storia dell’arte del passato. Ecco dunque da cosa nascono i tre armadi: il primo celebra il nome dell’artista, le lettere che compongono il nome Mantegna divengono infatti un sistema di mensole. Il secondo, “Horse”, è un richiamo al periodo della ricerca prospettica di Leonardo, Altichieri ed altri artisti, che non utilizzavano più componenti geometriche ma elementi presi dalla natura. Il terzo mobile rievoca la torre medievale che sovrasta il centro storico di Arquà, un monumento che rinasce sotto forma di “contenitore”. Mi era già capitato di riferirmi all’arte del passato qualche anno fa con le opere "Monalisa" e "Crocefissione", entrambe oggi appartenenti a collezioni private in Europa.
E perché proprio degli armadi? Credo che l’armadio sia un mobile senza tempo, ripetitivo e non prescrittivo per quanto riguarda il contenuto, le tecniche, i materiali. Le opere esposte sono prototipi in legno, la versione finale tuttavia sarà realizzata utilizzando una resina semi elastica, policroma e traslucida.
I disegni e i modelli utilizzati nella progettazione dei tre armadi troveranno posto sulle pareti degli ambienti che ospiteranno la mostra; sarà esposto nella stessa occasione anche un quarto armadio dal titolo Puglia: una cartolina/souvenir da una regione che amo e in cui mi sono recato spesso. Gli elementi figurativi in questo caso sono la lettera “P” per Puglia e l’olivo, pianta tipica di quella regione.

Palladio da Padova
Già il titolo di questo lavoro indica che è dedicato alla prima parte della vita di Palladio. Figlio di un falegname e di una lavandaia, la loro casa stava ai bordi di un canale ed ancora oggi essa si trova nei pressi dell‘odierna via XX settembre a Padova. Lo scorrere dell‘acqua di fronte alla loro abitazione dava la possibilità alla madre di lavare i panni per conto di altre famiglie. Ho immaginato che gli indumenti dovevano essere policromi e portatori dell‘energia del colore. La loro presenza fu parte quotidiana della vita del futuro architetto, ma stranamente non usò mai le risorse della materia colorata. Nel primo periodo padovano, quando lavorò come scalpellino, non si accorse dunque delle possibilità cromatiche delle pietre, dei marmi e dei mattoni come anche la vicina Venezia, san Marco, i lavori dei fratelli Bon, le facciate dei palazzi potevano suggerirglie potenziare l‘innovazione della sua pur grande opera. Dopo Padova vennero i momenti vicentino
e veneziano. Qui lui dedicò il suo lavoro alla rivisitazione dell‘architettura greca e romana antiche. Le sue composizioni furono conseguenze di segni geometrici direi quasi alla “toscana“. Se il colore fosse stato presente, l‘organicità ed energia del suo lavoro sarebbero divenuti irragiungibili. Questo scaffale-ritratto è un omaggio a lui nel cinquecentesimo anniversario della sua nascita ed all‘assenza del colore dal suo lavoro. Sul retro vi è un tributo a sua madre ed un ricordo del colore e dell‘acqua, la schiuma di essa e le sue bolle di sapone.

Gaetano Pesce, New York 2006-2007