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Nella presentazione di questo numero di Area abbiamo letto criticamente l‘ipotesi di studio proposta da Rem Koolhaas con la sua mostra Elements of Architecture evidenziando alcuni spunti di riflessione incentrati sulla considerazione che la mostra inverte programmaticamente i “fondamentali“ della disciplina confondendo i mezzi con i fini, l‘architettura con gli elementi costruttivi fino al punto di affermare, non solo che in questa Biennale non sono presenti intenzionalmente gli architetti, ma incidentalmente, a mio giudizio, neanche l‘architettura (se non suoi frammenti o parti di questa): scale, rampe, ascensori, corridoi, porte, balconi, sanitari, caminetti, finestre, muri, controsoffitti, facciate e così via.Tuttavia, se la sottolineatura dell‘importanza della conoscenza del valore evolutivo dei singoli elementi costruttivi costituisce un‘intuizione felice che sottrae il progetto dalla schiavitù del gesto eclatante e creativo, rimane da verificare prioritariamente la coerenza della proposta ed in secondo luogo la sua utilità rispetto ai temi e i compiti a cui è chiamato oggi il progetto di architettura.

Si tratta di due questioni differenti, la prima attiene alla valutazione del rigore scientifico con cui è stato condotto questo lavoro di ricerca sugli elementi – giudizio che tuttavia non mina il significato intrinseco della mostra – la seconda riguarda viceversa la correttezza e la congruità con il fare contemporaneo di una simile lettura retrospettiva, problematica che invece richiede una attenta verifica in grado di confermare o vanificare l‘efficacia di quanto supposto.

L‘indagine sulla coerenza della trattazione delle diverse sezioni si compie confutando quanto esposto proprio in relazione a quei fondamenti disciplinari a cui la mostra intende fornire nuove indicazioni, viceversa le ricadute e le prospettive rispetto al progetto di una simile lettura richiedono una verifica puntuale dei temi attraverso casi studio – architetture – selezionati per studiare l‘opportunità di una analisi grammaticale – per parti – del testo architettonico.

1) L‘individuazione degli elementi, la loro classificazione e comparazione.

I fondamenti della ricerca scientifica poggiano le proprie basi sulla classificazione attraverso l‘individuazione di comportamenti o caratteristiche comuni a famiglie di soggetti o elementi selezionati in base alle loro differenze o similarità a partire dall‘appartenenza riconosciuta ed evidente ad una determinata specie o un determinato genere. Tale rigore non è assolutamente derogabile poiché renderebbe opinabile il valore stesso della ricerca. Se ciò è vero, la selezione dei diversi elementi oggetto dello studio proposto da Koolhaas e l‘accostamento di alcuni elementi, così diversi tra loro, appare discutibile. Come si fa ad esempio a confrontare un caminetto con un corridoio? Un antico sistema di climatizzazione della casa utilizzato per riscaldare i diversi ambienti con un elemento di distribuzione e collegamento spaziale tra le varie parti di un edificio? O ancora un gabinetto, ovvero, come esposto, una collezione di tazze con modelli fluttuanti dall‘antichità classica ad oggi, con un balcone? La mostra presenta infatti elementi che appartengono a generi diversi, alcuni riguardano specificità tecnico-strumentali per lo svolgimento di particolari funzioni che appartengono alla vita dell‘uomo, altri invece riguardano il funzionamento dell‘organismo architettonico palesando ruoli e significati difficilmente confrontabili.

Così se il tetto e il muro sono elementi strutturali attraverso i quali, da sempre, si definisce la costruzione dello spazio fisico di un edificio attraverso l‘azione del recingere e del coprire, il pavimento è senza dubbio un elemento di finitura che ha a che vedere con la decorazione o l‘uso di un determinato ambiente anche se, impropriamente, nel catalogo, risulta mescolato con i solai i quali, come noto, sono elementi strutturali orizzontali.

Ma non è soltanto la differenza di genere a rendere difficile una lettura trasversale comparata dei diversi elementi quanto il modo diverso con cui ciascun elemento viene trattato. Per alcuni la lettura si muove geograficamente e quindi spazialmente confrontando temi che evidenziano la loro diversità in relazione all‘intorno culturale di appartenenza, per altri risulta decisivo il dato temporale per cui si confrontano esempi nella loro evoluzione storica. Nella sala dedicata alle facciate vi sono frammenti in scala reale di rivestimenti di edifici contemporanei, mentre l‘analisi evolutiva è relegata all‘interno del catalogo. Per la sezione dedicata al tetto la mostra propone la visione di modelli di sistemi di copertura appartenenti alla cultura cinese lasciando pochissimo spazio per un‘analoga analisi rivolta ai modelli occidentali, oltre esempi di membrane e coperture continue che certamente non esauriscono la vastità dell‘argomento. La finestra, elemento che da sempre caratterizza la calligrafia e quindi il carattere di un determinato involucro architettonico, sia esternamente, disegnando la partitura delle facciate, sia internamente, regolando il modo con cui la luce penetra lo spazio dell‘abitare, è trattata come un banale meccanismo di apertura e chiusura dell‘involucro. Evidentemente il tema della finestra è associato al serramento inteso come strumento, una confusione palesata dal protagonismo dato nell‘allestimento al macchinario che apre e chiude un telaio in alluminio per verificare la validità e la resistenza di cerniere e maniglie. Analogamente appare fuori contesto, per una trattazione sull‘architettura, la visione del castello metallico dove gli stessi componenti e minuterie sono pronte per l‘anodizzazione. In definitiva la mostra non segna alcuna differenza tra l‘elemento architettonico e il design del componente tecnico che magari è parte non significativa di quello stesso elemento. In egual modo alcuni elementi sono trattati in maniera tanto basica da risultare del tutto superflui per l‘architetto, come l‘ingresso del padiglione dove l‘occasione della cupola affrescata da Galileo Chini offre lo spunto per affrontare il tema delle controsoffittature quali elementi di definizione dello spazio architettonico, mentre nell‘attualità risultano vani di carattere più tecnico dove scorrono tubature, le canalette degli impianti elettrici e le canalizzazioni della climatizzazione. Analogamente privo di interesse per l‘architetto ma, ritengo, anche per il pubblico dei “non addetti ai lavori“, il dettaglio costruttivo di una scala mobile con tanto di frammento al vero di tre gradini metallici, mentre risulta del tutto riduttiva l‘ipotesi che le rampe, all‘interno o all‘esterno di un architettura, si realizzino prioritariamente per risolvere il problema delle barriere architettoniche. Tale accento è il risultato di una macchina espositiva ed un allestimento che evidentemente non ha funzionato correttamente perché, a ben vedere, nel catalogo – pensato sotto forma di pregevoli libretti descrittivi dei singoli lavori di ricerca – la rampa è trattata in modo sufficientemente completo rivelando il proprio ruolo di elemento architettonico indipendentemente dalla sua valenza tecnica o dalla sua utilità d‘uso per talune tipologie di fruitori.

Probabilmente tale assenza di rigore e coerenza nelle diverse ricerche e quindi nelle diverse sezioni – al pari della discrasia mostra / catalogo, ora ricordata, che desta più di una perplessità in chi scrive – deve essere considerata come intenzionale o del tutto ininfluente per l‘autore nel momento in cui le diverse ricerche sono condotte da gruppi eterogenei di studiosi. Inoltre il carattere didattico-divulgativo dell‘intera trattazione lascia intravedere l‘interesse del direttore per un pubblico generico o di studenti totalmente digiuni di studi legati all‘architettura altrimenti risulterebbe poco spiegabile anche l‘esposizione del notissimo modello della Maison Dom-Ino ricostruito in legno e posto proprio davanti all‘entrata del padiglione centrale.

2) La coerenza con il progetto contemporaneo della classificazione e individuazione dei singoli elementi costruttivi.

Indipendentemente dal rigore della trattazione dei singoli temi occorre anche verificare se tale lettura per elementi, certamente efficace in chiave di analisi storico-critica rivolta al passato, abbia una reale efficacia o utilità rispetto al progetto contemporaneo. In particolare è necessario e interessante valutare se rispetto alla complessità odierna l‘ipotesi di Koolhaas, cioè che questa “ … si manifesti in tutta la sua portata solo osservando le sue parti costituenti al microscopio“ – quindi valutando la realtà per parti distinte, attraverso frammenti – sia un‘ipotesi corretta e coerente rispetto a quella stessa complessità di cui ci viene suggerito il metodo di studio e conseguentemente la conoscenza. Contrariamente a ciò che sembra Rem Koolhaas è di gran lunga il principale esponente di una cultura post-moderna che guarda al passato come fonte inesauribile di ispirazione; se in tale visione si possono riconoscere tutti coloro che considerano il progetto come frutto di conoscenza, e principalmente una attività intellettuale e umanistica, non altrettanto condivisibile appare, proprio della cultura post-moderna, il gusto della citazione, del frammento, della riproposizione per parti di scritture e testi che appartengono a ciò che possiamo definire “la catena evolutiva del pensiero“: una storia ricca di esemplificazioni che devono essere lette e comprese nella loro interezza, in relazione al contesto storico-culturale, economico e politico, che le ha generate e rese possibili. Di questa catena evolutiva Koolhaas dimentica intenzionalmente uno dei passaggi più discussi e cruciali, il moderno rifacendosi ad una lettura per parti che pare derivare più dai trattatisti e dalla tradizione classica che non dalle ipotesi rivoluzionarie ed integrali delle avanguardie, dal Bauhaus ai Radical.

Non è sufficiente inserire nelle proprie letture a fianco del tetto, del muro, della facciata, della finestra, novità derivate da invenzioni strumentali del XX secolo come l‘ascensore e la scala mobile per essere “al passo con i tempi“, o meglio aver compreso l‘oggi come il semplice passaggio dalla tradizione classica alla tradizione moderna.

“ …Le stringhe di DNA …“ (per usare le sue esatte parole) verso cui guarda Koolhaas sembrano non giungere all‘attualità per fermarsi a quel dualismo classico-anticlassico espresso per punti secondo il quale il tetto non è a falde ma piano, anzi un giardino, la facciata non ha partitura, ma è libera, il muro non esiste, ma ci sono i pilotis, e così via. Si tratta di una contesa che ha caratterizzato per intero il secolo scorso che pensavamo consumata e quindi superata sia nella iterazione della tradizione classica, sia nella sua versione oppositiva, sia nei rigurgiti post international style, per approdare ad una contemporaneità dove tutto si mescola e confonde, dove il concetto di elemento architettonico singolo, di tipologia, evolve verso una multiculturalità nella quale molti dei nostri piccoli frammenti e delle nostre certezze si intrecciano e si perdono. Per essere più chiari e pragmatici, il tetto, come elemento architettonico, un tempo coronamento dell‘edificio realizzato nella tradizione occidentale tramite falde rettilinee, o inclinate ad andamento curvilineo secondo la tradizione cino-orientale, trasformato con il moderno in un lastrico solare, più raramente in un giardino, è oggi un elemento più complesso e “multitasking“ che si mescola con altri elementi, come la facciata e il balcone; può ospitare finestre e si usa in moltissimi modi: dalla palestra, all‘eliporto fino a generare nuovo suolo coltivabile o ulteriormente costruibile come avviene negli hi-rise buildings di Hong Kong.

Ha senso allora osservarlo al microscopio, isolarlo come elemento a se stante, studiarlo come frammento?

E ancora la facciata con la sua struttura e le proprie regole che il moderno nel tentativo di distruggere ha finito per riaffermare rendendola “libera“ ma allo stesso tempo cardine di uno dei cinque dogmi del proprio manifesto propagandistico, è oggi molto di più che un singolo elemento architettonico avendo assorbito, nel suo alveo, tanto la finestra, quanto la copertura o il balcone e, dal Centre Pompidou in poi, così come in moltissimi altri esempi d‘oggi, l‘ascensore, la scala mobile, gli impianti. L‘attualità ci consente allora una lettura parziale della facciata come elemento architettonico o non si tratta piuttosto di una visione inadeguata per spiegare le tendenze in atto nella contemporaneità?

Gli esempi e le dissertazioni, come risulta evidente, potrebbero riguardare ciascuno degli elementi architettonici la cui lettura evolutiva ci è proposta oggi da Koolhaas secondo una visione parziale che comprende solo lo studio del passato e che mal si adatta all‘attualità perché tutta compiuta sul particolare alla scala micro. L‘oggi propone una visione simultanea comprensibile tanto al microscopio quanto in modalità satellitare e deve corrispondere e confrontarsi con la nostra opportunità e facilità a “zoomare“ dal particolare al generale e viceversa; siamo abituati a farlo, tanto osservando il mondo o una casa con Google Maps, quanto disegnando sui nostri computer in assenza di scala, dall‘assieme al dettaglio, dal generale all‘infinitesimo, ruotando semplicemente il cursore del mouse che ciascuno tiene sul proprio tavolo, un apparato strumentale che tuttavia ha modificato il nostro modo di immaginare e osservare le cose e quindi di catalogarle, studiarle, progettarle.