area 143 | ELEMENTAL

Elemental: l‘architettura come progetto

Durante l‘incontro con Alejandro Aravena l‘architetto stesso si è complimentato con la redazione di Area per averlo contattato prima della sua nomina a Direttore della prossima Rassegna di Architettura della Biennale di Venezia, poiché come evidente, dopo tale incarico moltissime riviste e mezzi di informazione e divulgazione sull‘architettura si sono improvvisamente accorti dell‘importanza del suo lavoro e della sua azione come progettista e promotore culturale. Per la verità considero assolutamente normale che una rivista anticipi e registri come un sismografo, avrebbe detto Hans Hollein qualche anno fa, ciò che accade all‘interno del dibattito sull‘architettura e sul progetto; inoltre, dobbiamo riconoscere, che non occorreva essere profetici per accorgersi che il lavoro e l‘azione intellettuale di Aravena e del suo studio Elemental hanno colto alcune necessità ed emergenze contemporanee, come il bisogno di abitazioni in particolare in Sud America, che gli sono valse meritoriamente anche la presenza nella giuria del prestigioso Pritzker Price. Probabilmente la nostra conoscenza del “meridione del mondo” (intesa come studio e come rivista, tra gli altri ricordo il numero Area 82 intitolato “South“ e il monografico Area 133 dedicato interamente all‘architettura cilena) ha facilitato quella dei suoi progetti, della sua attività e del suo pensiero, quale stimolo e critica ad esempio del programma socio-abitativo proposto dall‘ex presidente Lula “Minha casa minha vida“. Tuttavia non sono questi, o non solo questi, i motivi che ci hanno spinto a predisporre, già dall‘anno scorso, un numero monografico sullo studio Elemental, bensì, più semplicemente e prioritariamente, la qualità delle sue architetture e l‘interesse per il suo lavoro di progettista. Perché la forza del messaggio sociale – una parola alla quale lo stesso Aravena preferisce il termine “condivisione“ o “condiviso“ – tende ad “offuscare“ il valore della sua capacità di comporre e disegnare spazi e volumi in maniera tanto rigorosa quanto convincente.
E se per molti è conosciuto come l‘architetto e il promotore dell‘autocostruzione o della modificazione spontanea degli spazi abitativi suggeriti dai numerosi progetti di social housing, vale la pena osservare e studiare con attenzione alcuni progetti come l‘edificio per uffici denominato Angelini Innovation Centre a Santiago per comprendere come, oltre la potente impronta chiaroscurale, l‘occasione costituisca una seria e originale riflessione sugli edifici a torre destianti al lavoro. Oppure analizzare i dormitori dell‘Università St. Edward in Texas concepiti come un complesso impenetrabile e corrusco all‘esterno quanto vibratile e trasparente verso l‘interno dove è concentrata la vita e l‘incontro tra gli studenti del campus, o ancora, apprezzare la riproposizione potente e tradizionale dell‘idea di fronte nel complesso della Medical School sempre a Santiago, in Cile, sua terra d‘origine. Il quadro che ne scaturisce è quello di un architetto certamente interessato e profondo conoscitore delle esigenze e degli interessi della vita collettiva ma anche e soprattutto un costruttore capace di modellare la materia, in grado di plasmare gli spazi per realizzare, all‘interno dei perimetri disciplinari e con le migliori condizioni per l‘abitare, una figuratività intensa e consapevole.