area 108 | Mexico City

Città del Messico è una città polverosa. O, per meglio dire, è ventosa e a volte arida. La polvere in Messico è un indice delle trasformazioni geofisiche del territorio, dove il termine “indice” viene interpretato secondo la definizione che ne dà Charles Senders Peirce di relazione fisica diretta tra significante e significato. Dalla fondazione di Tenochtitlan nel 1325 al centro di un sistema di cinque laghi, alcuni dei problemi maggiori che questa megalopoli di quasi 20 milioni di abitanti ha dovuto affrontare sono la scarsità d‘acqua e il sistema delle fognature, la gestione delle risorse idriche e l‘occupazione del territorio attraverso reti urbane, tutte questioni che emergono chiaramente nelle rappresentazioni cartografiche.

Plan of Mexico City and the system of lakes, 17th century
Plan of Mexico City and the system of lakes, 17th century

La distinzione tra geografia e corografia in base ai loro specifici ambiti d‘azione risale al II secolo d.C. con Claudio Tolemeo. Il termine corografia deriva dal greco choros o chora: uno spazio limitato e definito pronto per essere riempito. Chora si riferisce a qualcosa di diverso dal vuoto degli spazi moderni; descrive il contenitore o potenziale recipiente di ciò che può trovarsi al suo interno, lo spazio delle possibilità. Secondo Tolomeo, la corografia si occupa della descrizione della natura delle regioni, o delle loro caratteristiche specifiche. La geografia, invece, è una scienza quantitativa che studia la superficie della terra in modo generico e non richiede quindi competenze grafiche. Tolomeo sostiene che una descrizione geografica possa essere realizzata “utilizzando semplici linee e appunti” che indicano “posizioni e definizioni di tipo generico”. Oppure, per usare le parole del geografo Gunnar Olsson “la geografia può essere definita come geometria associata ai nomi”. La corografia, invece cerca di identificare le qualità di determinate zone della stessa superficie, a livello regionale o locale, per comprenderne la specificità. Forse si potrebbe dire, parafrasando il pensiero di Tolomeo con la teoria deleuziana, che mentre la geografia osserva le differenze di grado, differenze quantitative in termini di altezza e distanza, la corografia rileva le differenze di natura, differenze qualitative in termini di caratteristiche specifiche o locali. Pensata come ”Cartografia delle possibilità”, questa serie di mappe e rivisitazioni di mappe già esistenti, che si potrebbe definire un‘opera di mappatura di mappe, mostra, in parte, la storia delle caratteristiche regionali di Città del Messico. Le mappe riportano non solo i cambiamenti geografici del territorio o i mutamenti fisici subiti dalla città, ma anche il modo in cui la città è stata progettata e immaginata, nella realtà e in potenza. Le mappe utilizzano diversi tipi di rappresentazione: dall‘ingegnoso e ingenuo sistema delle viste aeree della città, a planimetrie che inseriscono la città all‘interno di un sistema urbano o regionale. Alcune mappe cercano di spiegare, altre solamente di descrivere a chi non conosce il luogo la radicale novità di questo territorio. Secondo alcuni, questo fa della città un modello. A modo proprio, però, ciascuna di queste mappe funziona almeno in parte. Come ha scritto la guardia forestale e progettista americano Benton MacKaye nel suo libro “The New Exploration” del 1928, le mappe riescono infatti a raggiungere il proprio obiettivo, rendendo visibili le possibilità implicite nella loro natura potenziale. Fu ancora Charles Senders Peirce a scrivere che “l‘esperienza del mondo in cui viviamo rende la mappa più di una semplice icona e le conferisce ulteriori caratteristiche, quelle dell‘indice”, definito come relazione fisica diretta tra significante e significato, tra progetto e mondo. D‘altra parte possiamo anche dire che, proprio in virtù della relazione fisica diretta tra progetto e territorio descritto, l‘esperienza delle mappe rende il mondo in cui viviamo quello che è: un luogo di sensi e di pensiero, reale e potenziale. Come in qualsiasi altro caso, anche queste mappe attraversano dei punti, o meglio dei piani collegando, per citare ancora una volta Gunnar Olsson, la mente di chi realizza la mappa e il corpo dell‘esploratore.

Alejandro Hernández Gálvez, architetto, è stato finalista nel concorso per lo Zocalo e per la Biblioteca Vasconcelos e vincitore con Salvador Arroyo e Juan Carlos Tello del concorso per il Centro, Design and Film School e con Fernanda Canales, Jose Castillo e Saidee Springall del concorso per il Guadalajara Performing Arts Center. Ha pubblicato in molte riviste e volumi. Insegna teoria del design presso l‘università Iberoamericana. Attualmente è socio del Sistema Nacional de Creadores.