area 100 | changing cities

location: Londra

year: 2006

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sull’evoluzione della città, problema a cui noi architetti siamo interessati, e che presenta un numero di questioni tremendamente complesse per le quali io, per lo più, non ho risposte.

Gli antichi Greci
La civiltà greca costruiva i suoi monumenti per una comunità che si sentiva fortemente responsabile della cosa pubblica e che riconosceva chiaramente la differenza tra pubblico e privato. Questa civiltà ha prodotto sia nell’architettura che nell’urbanistica quel modello che consideriamo dominante, nel senso che, ancora oggi, si pensa in termini di pubblico e privato pressoché nello stesso modo. Tuttavia negli ultimi quindici anni si è verificato un fenomeno di estrema rilevanza.

Il regime dello ¥$

Il declino del potere pubblico, l’ascesa del potere privato
Ogni generazione ha bisogno di interrogarsi sui suoi rapporti con la globalizzazione; se si mettono insieme rispettivamente i segni dello Yen, dell’Euro e del Dollaro, si ottiene la parola ¥€$. Il significato di quello che possiamo definire il regime dello ¥€$ è che il potere del pubblico è in declino mentre si sta incrementando quello del privato. In questo momento viviamo in un periodo di intensa negoziazione tra pubblico e privato, e uno dei settori principali dove questa negoziazione ha luogo, è l’architettura nel suo rapporto con la città.

La pressione commerciale spinge all’eccentricità e alla stravaganza
Se non si fosse avviata questa fase finale di globalizzazione e privatizzazione, un edificio come quello di Frank Gehry a Bilbao non sarebbe mai stato costruito. Se prima, infatti, gli edifici potevano trovare la loro ragione di esistere nella loro neutralità e dignità, come nel caso del Partenone, oggi la semplice pressione commerciale che sta dietro a qualsiasi edificio obbliga anche l’architetto più serio ad eccentricità e stravaganze.

Città in esplosione e in contrazione
Inoltre, un altro fenomeno importante che si ripercuote sullo sviluppo della città è quello dovuto alla non omogeneità della globalizzazione, che si intensifica in zone differenti delle città generando due condizioni completamente diverse: la città che esplode e la città che si contrae, con quasi nulla nel mezzo.

Singapore - photo by Francesca Moretti

Assenza di una spinta utopistica
C’è stato un periodo in cui tutti noi sapevamo esattamente cosa fare: molti di noi hanno scritto manifesti dichiarando ciò che volevano fare e alcuni di noi hanno realizzato con successo parti di quei manifesti. Ad ogni modo, a seguito dei cambiamenti culturali degli ultimi quindici anni e a causa dei nostri stessi errori, la fiducia in quei manifesti e la convinzione di sapere cosa occorreva fare, è completamente crollata. Oggi non si scrivono più manifesti; al più si descrivono città particolari nella speranza non tanto di sviluppare una teoria su ciò che occorre fare, quanto piuttosto di capire come le città funzionano. In altre parole quella convinzione oggi è scomparsa e ci vorrà molto tempo perchè qualcosa di simile possa tornare. Una considerevole percentuale di persone in Inghilterra – e conosco bene le tendenze anti-utopistiche di quel paese da quando studiavo lì, nel 1968 – direbbe “che liberazione!”; ma l’assenza di spirito utopico è problematica forse quanto una sua dose eccessiva.

Calo della partecipazione pubblica nella riflessione sulla città
In questo dilemma resta sospesa una questione: se confrontiamo l’andamento economico dell’America e dell’Europa - andamento che ha subito un rapido declino a partire dagli anni Settanta - con l’andamento della produzione di manifesti architettonici in questi paesi, vediamo che il punto di stasi è stato raggiunto proprio nel momento in cui abbiamo smesso di pensare. Questo momento coincide esattamente con quello in cui l’andamento dell’economia asiatica ha iniziato a crescere molto più rapidamente di quanto avremmo potuto immaginare e con cui avremmo potuto negoziare; una situazione tragica, a mio avviso, perché significa l’apoteosi finale della città. Tutti noi sappiamo dalle statistiche che la città è diventata l’ambiente principale in cui la gente vive. Al momento del suo trionfo il nostro pensiero si è fermato e la partecipazione del settore pubblico nella definizione della città si è progressivamente ridotto.

Immagini Globali

Cina
Non sorprende constatare che questa simultanea assenza di regole e velocità della costruzione generi, come nel caso della Cina, un tipo di città completamente nuovo, in cui, ad esempio, l’incrocio stradale più importante si trova a meno 400 metri dai campi di riso; in altre parole la metropoli e la non-metropoli si trovano in un rapporto di prossimità che non ha precedenti. Del vasto repertorio di tipologie rimangono solo il grattacielo e la baracca, sistemati all’interno di un impianto urbano apparentemente caotico.

Dubai - photo by Paolo Caratello

Dubai
A Dubai il deserto è stato trasformato in città. Normalmente la nascita di una città è associata all’esigenza di un vasto numero di persone di vivere nello stesso luogo; non è così a Dubai dove la riduzione degli introiti dovuti all’estrazione del petrolio viene compensato con l’incremento dello sviluppo insediativo. Di nuovo, assistiamo qui ad una situazione in cui le motivazioni per la crescita della città sono completamente nuove e non misurabili con gli standard tradizionali. Nel 1990 c’erano troppi pochi residenti che abitavano la città così è stato incoraggiato l’afflusso di stranieri. Dubai consiste, sostanzialmente di mare, deserto e sviluppo urbano; sviluppo urbano che è stato progettato sempre più verso il mare favorendo un linguaggio più ornamentale e rivolto al piacere che rispondente alle richieste della città, cosa che ha rappresentato uno scambio di presupposti e di idee. La città che osserviamo oggi non è più costruita della sostanza che è necessaria alla nostra sopravvivenza, ma di contenuti di fatto superflui, per i quali possono essere applicate differenti metafore. Non sorprende che al piano terra di un centro direzionale venga utilizzato il linguaggio del resort - che ormai dà forma allo spazio pubblico - piuttosto che quello dello scambio delle idee. Per me la parola ‘resort’ è molto importante perché il nostro modello di vita nella città si sta concettualmente spostando dal lavoro all’ozio e di conseguenza l’estetica della città si sta spostando da iniziative più serie alle condizioni del resort. Un resort non è un posto dove si vive, ma dove il divertimento è l’attività principale, e dove non ci sono obblighi come la manutenzione o altre forme di contributi.

Dubai - photo by Paolo Caratelli

Florida
Un gran numero di eventi urbani è stato eliminato. L’ironia che le città e i resort sono divenuti intercambiabili è molto evidente nelle città costiere della Florida, dove la città stessa è stata la metafora per il resort. Sarebbe interessante capire se le vite delle persone all’interno di questi insediamenti sia migliore di quella degli abitanti di New York di trent’anni fa.

Singapore
Dobbiamo ricordare che la città veniva considerata un grande meccanismo e che lo spazio pubblico era il suo terreno di confronto di scambio e forse anche compromesso. Ora, con lo slittamento dal pubblico al privato non c’è più quel tipo di terreno e ci si aspetta che quel tipo di confronto si attivi altrove. Allo stesso modo non possiamo più tollerare il vuoto e la neutralità nella città, così ogni singolo pollice della città è regolato e costituisce di per sé uno scenario; il risultato è un opprimente confusione che governa le città. Singapore ha un estetica da resort combinata con la realtà di una città. Questo avviene non solo alla scala della città, ma ad ogni scala. Per chi si interessa di politica, Berchtesgaden in Germania, noto per il rifugio-bunker che Hitler vi fece costruire e che ora è un resort, dimostra come le rovine del passato vengano sistematicamente eliminate in nome della storia e della memoria e rimpiazzate con più gradevoli dispositivi per ricordare, così che la sofferenza ad esse connessa scompaia lasciando dietro di sé solo un vago riferimento. Da un lato l’arte sta diventando eccessiva, ma dall’altro forse meno efficace. La protesta ovviamente viene contenuta completamente. Più pulito è lo spazio pubblico, più alto è il suo grado di perfezione; ma più questo accade, più è probabile che ai suoi bordi si manifesti la pressione tra i due domini del pubblico e del privato. Un enorme numero di rivendicazioni vengono oggi fatte a parole, rivendicazioni che eravamo soliti fare attraverso l’architettura. Abbiamo trasformato la città in una superficie nella quale nessun pollice quadrato è risparmiato dall’appartenere a un certo scenario. In un contesto come questo non è ammesso che ci si possa comportare male, che si possa morire, chiedere l’elemosina, fare a botte, essere ubriachi, etc.

Penglai, China, 2007

Potsdamer Platz, Berlino
L’anno scorso per la prima volta abbiamo lavorato con degli imprenditori immobiliari così mi dicevo che nulla ci avrebbe distanziato dai dilemmi. Potsdammer Platz è configurata come una città, in ogni caso, guardando le sue componenti, in realtà è un collage di spazi privati. Non c’è traccia di lavoro, ma un’enorme massa di tracce di tempo libero. Riguardo a come lo stesso luogo funzionava precedentemente, già una prima occhiata mostrava una gamma molto più ampia di presenze e una folla molto più caotica.

Lagos
Lagos è una città incredibilmente densa, ma strutturata; è anche chiaro che la gente che vive lì ha a disposizione una gamma e un repertorio di possibilità ed espressione molto più ampi.

Las Vegas
Nelle città di una volta eravamo in grado di cavarcela e di vivere, e farlo non comportava necessariamente una sofferenza; ora invece la città è l' opposto di una massa critica, è incentrata sul tempo libero. Nessun luogo mostra questo svuotarsi della linfa vitale della città meglio di Las Vegas, dove vi è stata prima una simulazione di Venezia, poi di New York, e infine lo snaturamento della città, in cui uno dei temi di Las Vegas è diventata la città stessa. A Las Vegas c' è una parte di metropoli in cui tutti gli elementi folli e imprevedibili della città sono stati non tanto messi sotto controllo, quanto completamente rimossi. In questa senso idilliaco di tutti noi che sappiamo come progettare una città, e nella nostra inconscia idolatria e insieme fiducia nel progetto, piuttosto che nell’utopia, siamo oggi di fronte all’inettitudine di molti regimi di controllo, oltre a quel popolo silenzioso e spesso invisibile che non partecipa a questo idillio. Tutte le recenti immagini di New Orleans erano inequivocabili e chiare in questo senso. Non è sorprendente che il sindaco di Las Vegas abbia scelto il New Urbanism per ripristinarlo. Questa è precisamente l’architettura par excellence che non esita a proclamare le proprie competenze e che dichiara che la città “com’era, dov’era” è la migliore panacea per la nostra condizione. […]