area 118 | condominium

Città in scatola
Molto spesso una certa letteratura, comunemente definita “fantascienza”, ha così crudamente osservato i comportamenti e i desideri dell‘uomo, da tratteggiarne il profilo più vero e privo di giustificazioni culturali o morali. Col pretesto di guardare il futuro i grandi autori del genere hanno in realtà descritto il loro presente, i vizi e le ambizioni e, senza alcuna retorica, hanno provato a immaginare le possibili conseguenze dei più intimi desideri ed aspirazioni della loro società. Non privi, a volte, di un certo catastrofismo, scevri da ogni utopia – anche se può apparire contraddittorio – hanno usato l‘immagine del futuro come un tagliente giudizio sulle derive già in essere nell‘attualità. Inutile verificare a posteriori i loro presagi, in quanto, loro intento è comprendere la  contemporaneità, pur se attraverso uno specchio deformante e fantasioso, più per ammonire circa l‘avvento di possibili futuri che per proporli.
Per questo, rispetto al tema del presente numero di area, è impossibile non correre con la memoria ad uno dei più famosi racconti di J. G. Ballard incentrato proprio sulle dinamiche sociali scatenate all‘interno di un innovativo condominio, parte di un ambizioso intervento di sviluppo di una città.
Un grattacielo, come quello del romanzo, non è solo una “grande“ architettura, esemplificativa di soluzioni strutturali, distributive, linguistiche e stilistiche proprie di un edificio di rilevante scala, ma è invece la vera impalcatura che unisce, e separa, un frammento complesso di umanità. Edificio che non prende la forma di una torre qualsiasi, ma di una vera e propria piramide sociale, ben definita nei rapporti e nella gerarchie, nei servizi e nelle opportunità. Un condominio è quindi una aggregazione complessa di proprietà private connesse da parti comuni o pubbliche e, l‘idea sociale rispondente a tali esigenze, è quella della condivisione più che dell‘intimità. Un edificio siffatto, qualunque sia la sua dimensione, localizzazione o morfologia, mette in contatto le esigenze e le aspirazioni di individui distinti, vive al suo interno dinamiche paragonabili
a quelle di una intera città, innescando relazioni, e a volte anche conflitti, propri di determinate compagini sociali. Come la forma urbana è dettata da legami associativi e assistenziali, espressione gerarchica della vita privata e delle esigenze collettive, analogamente un condominio pone in essere, in misura ridotta, le stesse relazioni, pur se alla scala dell‘architettura. Gli edifici residenziali plurifamiliari, quando non sono la banale aggregazione di appartamenti senza alcuna forma significante, se non lo sfruttamento intensivo dello spazio, sono l‘espressione di una idea di collettività, articolata intorno a percorsi e a spazi che ne rappresentano la ragione stessa; esemplificazione del rapporto che si instaura tra vita privata e partecipazione pubblica, tra riservatezza e condivisione, tra indipendenza e responsabilità.
Rispetto alla città, i grandi blocchi residenziali hanno, nel tempo, interpretato diversi ruoli, esemplificabili in due modalità principali: o come parti di un tutto, componenti di un tessuto connettivo dove le singolarità partecipano in maniera corale; ovvero come individualità, dal forte carattere, calate in un territorio caratterizzato da relazioni più che da trame. Appartengono a questa seconda logica, ad esempio, le Unité d‘Habitation4  proposte da Le Corbusier che, infatti, non sono solo edifici complessi e polifunzionali, ma sono parte di una innovativa idea di spazio antropizzato, enunciato a partire dal progetto della Ville Radieuse, in cui il dissolvimento dello spazio urbano, così come storicamente concepito, non passa attraverso l‘annullamento delle relazioni umane quanto, piuttosto, nella distruzione dei legami consolidati tra densità e distribuzione, tra forma del territorio e dimensione dell‘architettura. Allo stesso modo le idee degli Archigram, proprio a partire dal rapporto tra la singola cellula abitativa e le sue possibili aggregazioni, cercano di suggerire forme inedite di città, inconsuete quanto a volte "instabili", basate su relazioni sociali sostanziali e non formali, su rapporti e convergenze esistenziali in grado anche di offrire una nuova idea di spazio pubblico, una nuova forma espressiva di collettività.
Per questo, non è una forzatura teorica vedere nello schema compositivo di un sistema di aggregazione di unità abitative, non solo la soluzione dei bisogni dei singoli, ma anche la realizzazione di una idea capace di dare forma allo “stare insieme“, di restituire un significato alla condivisione dell‘ambiente in cui si vive.
Considerare i corridoi come strade interne, gli androni e i pianerottoli come piazze, le terrazze come belvederi, i porticati come stoá, significa provare a elevare gli elementi distributivi di una architettura a parti significanti di un vivere pubblico. La città attuale, infatti, non è più solo quella progettata, è ormai un sistema complesso di relazioni e scambi, a volte immateriali, comunque disgregati e diffusi, incapaci di restituire una forma ed un linguaggio precisi. Per questo la contemporanea labilità dei confini disciplinari, come anche di definizioni pertinenti e assolute, fa sì che il progetto di una sola architettura possa innescare una più ampia riflessione sui legami e sulle dinamiche propri della società contemporanea.
Sinteticamente, infine, è possibile individuare alcune caratteristiche utili alla definizione di tali edifici: ripetizione, identità, percezione, partecipazione, efficienza, libertà.
La ripetizione è un valore negativo quando rappresenta l‘interpretazione banale di un impianto reiterato senza criterio se non quello funzionale, creando nell‘uomo disagio e perdita di comprensione dei luoghi che abita. Essa diventa, invece, positiva quando si intende come estensione dei principi del domestico, dei valori del privato, a tutto l‘insieme, quando cioè si è in grado di evitare la replica formale a favore della moltiplicazione dei contenuti. La percezione è un valore che va visto nel duplice aspetto “interno” ed “esterno”. La leggibilità dall‘esterno implica la riconoscibilità, l‘identità, del proprio habitat oltre che la comunicazione di quello che si è. La percezione dallo spazio privato dell‘ambiente circostante comporta invece una gerarchia di significati tesi a filtrare e guidare la comprensione del mondo.
La partecipazione rende l‘uomo protagonista delle ragioni che soggiacciono al passaggio tra la città e lo spazio domestico, tra l‘esterno e l‘interno, tra il modo di vivere il pubblico e quello di costruire il proprio privato. Un rapporto fatto di compromissioni con l‘intorno, che analizza e definisce il flusso di stimoli e contatti, tracciando il confine invalicabile dell‘intimità. L‘efficienza, non intesa come efficienza di prestazioni, è l‘esigenza di integrare i propri bisogni primari ad altri di tipo collettivo. È quindi la possibilità di contaminare l‘intimità con relazioni misurate e mirate, tese a creare una rete di connessioni e di scambi, non ancora del tutto pubblica, ma tuttavia non più esclusivamente privata. Esigenze proprie della vita odierna in cui alcune azioni, non sono dovute o obbligate, ma sono “scelte” e attuano il personale stile di vita. Infine la libertà, intesa come capacità di suggerire e non di imporre, evitando di risolvere in forma stabile, lasciando piuttosto infiniti gradi di scoperta e di invenzione nella fruizione degli spazi, nel modo di usare gli interni, di scegliere i percorsi, nella caratterizzazione degli ambienti e nella flessibilità dei componenti che li realizzano. Per far questo non c‘è bisogno di proiezioni nel futuro, di immaginare l‘inimmaginabile, ma solo di restituire all‘architettura il suo storico compito, di dare forma, criticamente, ai sogni dell‘uomo.