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Latino America riappare sulla mappa globale dell'architettura. Le recenti crisi che hanno fatto vacillare le economie di tutto il mondo hanno aiutato a distogliere lo sguardo sul subcontinente americano. Un'attenzione che si dissemina tra le molte città che sono riuscite ad avviare progetti collettivi, come Curitiba, Medellin o Rosario, con progetti di trasformazione urbana come parte di strategie politiche e civili. E altre, come Santiago del Cile, Bogotà o Città del Messico, dove si stanno concentrando gran parte dei progetti più singolari. Per quanto riguarda il nostro secolo è opportuno evidenziare il caso cileno che, dopo la costante esistenza marginale, irrompe con l'architettura più interessante e originale di tutto il continente americano. Questa si distingue dalle altre architetture latinoamericane per la forza propositiva delle ultime generazioni, si può notare infatti un taglio generazionale, frutto di un'economia stabile e una solida struttura accademica.

Architetti come José Cruz, Germán del Sol, Mathías Klotz, Smijan Radic, Alejandro Aravena, Sebastian Irarrázaval, Assadi+Pulido o Pezo von Ellrichshausen, sono alcuni dei volti più importanti di una realtà poliedrica e effervescente che a loro volta rappresentano la punta di lancio di una cultura architettonica solida, più vicina al pragmatismo e all'efficienza funzionale tardo-moderna che ai trucchi formali delle archistar internazionali della fine del XX secolo.

Un periodo che inizia con il Padiglione Cileno alla Expo di Siviglia del 1992 come simbolo di un paese che esce per mostrarsi e per lasciarsi alle spalle i tempi precedenti (dittatura e postmodernismo), e visualizzare con fiducia le proprie potenzialità: in questi venti anni l'architettura cilena ha dato infatti i frutti migliori.

Con il Padiglione di Siviglia, José Cruz Ovalle e Germán del Sol emersero con forza dalle forme organiche e con l'uso quasi esclusivo del legno sono stati in grado di identificare un luogo. Il Padiglione ha rappresentato il riconoscimento dell'oggetto forte e arcaico, delle forme sinuose e libere, nel momento in cui l'architettura internazionale era orientata all'astrazione prismatica di oggetti muti e facciate camaleontiche. Cruz ha continuato a studiare il potenziale formale del legno nella sua propria casa/studio e molti altri seguirono questa strada.

José Cruz Ovalle si affermò come uno degli architetti più originali, dalla composizione organica dei suoi edifici e la complessità dei suoi percorsi frammentati e “piranesiani”. Germán del Sol invece fu più interessato alla forza dei concetti che alla narrativa sequenziale delle forme, sviluppando una architettura che dialoga con l'arte e il territorio. Con alcuni hotel situati in terre remote iniziò una serie di oggetti architettonici che possono essere letti come opere di land-art.

Però è a partire da una modesta scatola di legno, progettata da Mathias Klotz, che inizia il cammino della generazione più audace. Le case sono scatole che rispondono ad una idea contundente, senza soluzione di continuità, che non si scompongono davanti al minimo dettaglio; al contrario, si sottomettono alla idea primordiale e platonica. Linee pulite e precise, volumi concisi che evitano i vanti delle intersezioni geometriche, sensualità di un breve repertorio di materiali, dettagli assenti, spazio. Le sue scatole sono appendici della topografia. Klotz concepisce l'architettura come parte e controparte del paesaggio. La relazione con la natura non è mimetica, non ci sono riferimenti organici. Al contrario, l'astrazione dell'oggetto suggerisce la relazione con il luogo. L'edificio non altera il terreno, rispetta e interpeta i gesti topografici per definire il rapporto tra naturale e artificiale, ed i punti di contatto tra di loro.

Esplorare le potenzialità delle forme basiche così come la costante ricerca di varianti, permette a Klotz di ottenere il massimo dei risultati a partire da alcuni gesti minimi, progettando con tratti fondamentali, con segni presenti nel territorio, al limite tra naturale e artificiale, tra rurale e tecnologico, tra contemporaneo e senza tempo.

Con Klotz una nuova generazione di architetti irrompe nella scena cilena di fine secolo con rigore professionale, adattandosi alle leggi del mercato e in sintonia con il dibattito mediatico internazionale. Smiljan Radic, Alejandro Aravena, Sebastián Irarrázaval e Felipe Assadi appartengono a questa generazione.

Radic si contraddistingue per "lo smantellamento della sua esperienza nell'uso dei materiali, la cosiddetta “logica” strutturale, lo sfruttamento delle condizioni ambientali, l'economia delle risorse, nonché le associazioni e i riferimenti architettonici, descrizioni e aggettivi. Il suo lavoro è qualcosa di bizzarro, che si colloca al margine delle previsioni generali, ma ancor più, che fa incursioni in una zona di non sapere”. Le sue opere, andando oltre il loro fascino indiscutibile, sono enigmatiche e complesse. Già nei suoi primi lavori trascende la funzione con soluzioni crittografate.

Alejandro Aravena si è formato nelle aule dell'Università Cattolica, le stesse di Klotz, nonostante ciò il suo lavoro ha sempre mirato ad una duplice missione: quella formale e quella strategica. La prima lo ha portato ad una esplorazione sperimentale, un approccio stilistico attraverso percorsi differenti di notevole talento. Ma è stato il suo lavoro con Elemental che lo ha condotto verso una ricerca sulle abitazioni minime da un punto di vista più strategico. La contrazione degli elementi di base che consentono di appropriarsi delle virtù dell'autocostruzione genera una struttura "elementare", che ospita le zone dure e umide, gli impianti e le pareti, sui quali si può vivere solamente chiudendosi o ampliandosi in diverse fasi. Così, il carattere aperto della sua proposta consente all'utente di completare secondo le proprie possibilità il potenziale dei suoi spazi da vivere.

Sebastian Irarrázaval è notevole per la sua plasticità formale e la fluidità degli spazi, nei quali incorpora il dinamismo di Le Corbusier della passeggiata architettonica.

Dallo studio di Mathias Klotz sono emersi invece gli architetti Assadi + Pulido: il loro lavoro cerca di avvicinarsi al minimo indispensabile e, a sua volta, è il distillato di idee forti basate su una geometria semplice formata da parallelepipedi giustapposti. Forse una delle loro maggiori virtù è proprio l'immediatezza quasi schematica. Lo “spazio servente” e lo “spazio servito” di Louis Kahn si riflette letteralmente in solido o trasparente, in cemento o legno, stabilendo, in molte delle loro opere, una dicotomia tra gli opposti, tra natura e artificio, radicalità funzionale e espressione dei materiali. Per loro progettare significa definire, con chiarezza incontaminata, un concetto sul quale sostenere la proposta, è relazionarsi dialetticamente con il luogo. La forza della loro architettura si spoglia delle teorie e assume dal patrimonio “moderno” la chiarezza dei prototipi. Nonostante la freschezza dei loro progetti che li distinguono dalla loro generazione, che hanno scommesso in alcuni casi su certe raffinatezze spaziali -Mathias Klotz-, o per una maggior densità concettuale che si trasforma in proposte più complesse -Smiljan Radic-, Assadi + Pulido fanno parte di un nuovo sviluppo di architetti cileni che non solo hanno stabilito un livello molto alto e quindi difficile da superare nel panorama architettonico latino-americano, ma che conservano il sapore e l'identità del loro luogo di origine.

Forse non dovrebbe sorprendere che la linearità degli interventi provenga da un paese la cui forma è allo stesso modo lineare, stretta tra le Ande e l'Oceano. Forse anche la relazione, seppur distante, con il territorio deriva dal rapporto che stabilisce una popolazione composta da migrazioni relativamente recenti, che impediscono, fino ad un certo punto, un contatto che potrebbe danneggiare le terre dove il mondo finisce.

Molti sono gli architetti che si sono distinti in questo ricco vivaio. Dagli edifici aziendali di Borja Huidobro, il lavoro dei discepoli di Alberto Cruz come la “hospedería del Errante” di Manuel Casanueva o il box en Ritoque di Miguel Eyquem, le case unifamiliari di Martin Hurtado o gli edifici industriali Guillermo Hevia, fino alle proposte più audaci della nuova generazione come l'edificio in legno BIP di Alberto Mozo legno, lo sviluppo paesaggistico di Teresa Moller a Punta Pite, o la natura sperimentale della Wall House di FAR (Marc Frohn e Mario Rojas), solo per citare alcuni dell'ampio panorama che illustra la recente architettura cilena.

Tra tutti questi forse, quelli che più si distinguono per l'originalità della loro proposta, sono Pezo von Ellrichshausen. Fino ad oggi, Mauricio Pezo e Sofia von Ellrichshausen hanno costruito solo alcune case e hanno sperimentato con altrettante installazioni. Per loro, i progetti di architettura sono dei sistemi dinamici di determinazione formale, e le loro case sono variazioni della stessa idea germinale a partire da tentativi successivi di prove ed errori. A sua volta, dai loro sistemi, formulano strutture aperte e versatili che sfidano i confini disciplinari tra arte e architettura.

L'architettua cilena nasce e si sviluppa nel paesaggio. Le opere definiscono la linea orizzontale che pone limiti tra l'edificio costruito e il suo spettacolare territorio. L'architettura contemporanea cilena rielabora i prototipi del Movimento Moderno e, in gran parte, gli architetti sono stati capaci di convertire in linguaggio proprio la costruzione di un discorso basato sulla chiarezza geometrica dei prisma sui quali i programmi architettonici si scompongono.