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art/architecture sell/inhabit classic/anti-classic planning/opportunity memory/invention built/built on existing tissue iconic/aniconic extraordinary/everyday  homogeneous/inhomogeneous built /voids

Le città sono luoghi in perenne mutamento, costantemente e inesorabilmente continuano a cambiare e modificarsi poiché sono i luoghi della vita e delle attività umane ed esprimono, come un qualsiasi organismo vivente, una  instabilità indotta dai comportamenti risultando sensibili alle condizioni climatiche, alla disponibilità di risorse, alle decisioni di chi le governa o custodisce o semplicemente le attraversa. Le città conseguentemente nascono e muoiono, si sviluppano o si svuotano, si trasformano o artificialmente vengono imbalsamate perdendo il proprio status di città e assumendo il valore del gadgets, dell’oggetto da esporre, è il caso di Venezia, del parco giochi, come Las Vegas, esse divengono altresì luoghi della metamorfosi genetica come a Dubai dove il deserto diventa laguna e il mare aperto arcipelago. La scienza urbana, indispensabile per il governo delle città, è una disciplina in divenire che deve essere continuamente implementata attraverso l’osservazione delle reazioni indotte dalla sperimentazione delle modificazioni e degli eventi. E’ quindi necessario, al pari di qualsiasi altra attività scientifica, classificare i comportamenti dei soggetti sotto osservazione catalogando e classificando le reazioni urbane dal punto di vista fisico, sociale, economico, climatico, rispetto all’evoluzione dei cambiamenti, siano questi spontanei o indotti. È possibile, anzi doveroso, introdurre una lettura critica dei fenomeni urbani per capire se la formula mediatica del prossimo Expo 2010 di Shangai “Better City Better Life” abbia significato e, condividendola, capire che cosa vuol dire città migliore e migliore qualità della vita poiché, in molti casi, le trasformazioni in atto sono il risultato della spinta di interessi economici o di miopi strategie di cambiamento i cui effetti sono tutt’altro che positivi per le condizioni di abitabilità degli individui. Deve essere altresì premesso che l’architettura come disciplina anche estesa agli studi urbani, deve essere correlata con altri approcci scientifico-metodologici che vanno dall’economia alle scienze sociali, dalla politica alla psicologia dei comportamenti, dalla trasportistica all’ingegneria ambientale e che pertanto il nostro angolo visuale, tutto interno alla dimensione del progetto, ancorché decisivo e strumentale, non può risultare esaustivo. Tuttavia l’architettura, se è debolissima rispetto alla pressione economica e alle politiche di gestione e governo del territorio può, come disciplina, orientare queste stesse politiche attraverso una propria “architettura della città” e lettura dei fatti urbani che per semplificazione possiamo analizzare attraverso la decodifica di alcune parole chiave  correlate ad altrettanti casi concreti – altrimenti all’interno dell’equazione urbana le variabili e le incognite sono in numero talmente elevato da risultare irrisolvibile – dei quali sia evidente l’effetto, il risultato, i comportamenti.

Pechino: iconico / aniconico
Nel cambiamento di “stato” la città Pechino ha colto l’occasione dei recenti giochi olimpici per “occidentalizzarsi” attraverso la costruzione di una serie di cattedrali simbolo: il nuovo stadio progettato da Herzog & de Meuron, la nuova sede della televisione CCTV di Rem Koolhaas, il nuovo aeroporto progettato da Norman Foster, edifici super iconici, oggetti da copertina da veicolare nel mondo. Inevitabilmente nell’immaginario collettivo il predominio della città imperiale, discreto e nascosto dai suoi innumerevoli recinti, è minacciato dall’agressività iconica di giganteschi gadget che ne contraddicono il valore. La Pechino introversa, tutta interna ai alle corti protette da muri, ostinatamente orizzontale, priva di piazze, ma ricca di cortili, non ha trovato modelli interpretativi in grado di evitare un  senso di “straniamento” generalizzato e un sentimento comune di perdita di identità. Al tessuto degli Hutong non è stato permesso di rigenerarsi preferendo la sostituzione con edifici alti, più redditizi in termini di uso del suolo, ma talmente anonimi e banali da richiedere una ricerca di immagini che ha trovato nell’eccezionalità di oggetti straordinari la via più breve per affermarsi. Tuttavia il vero cambiamento della città, al di là delle immagini e della ricerca di nuovi simboli da veicolare nel mercato mondiale, passa attraverso operazioni invisibili nella forma ma potentissime nella sostanza come il recupero del 798, una immensa fabbrica convertita in laboratorio culturale e artistico, una incredibile fucina di idee e sperimentazioni in grado di proiettare il pensiero della Cina contemporanea a livello globale. Inoltre la costruzione di un più diffuso sistema di mobilità legato alle nuove linee della metropolitana consentirà di limitare l’eccezionale pressione del traffico automobilistico. Potremmo allora dire che a Pechino oltre il visibile entra in scena l’invisibile, e che i grandi oggetti di design a scala urbana e le grandi e stupefacenti architetture costruite negli ultimi anni, se sono in grado di veicolare nel mondo un muscolare messaggio di salute economica, non contribuiscono, al di là del marketing, al miglioramento complessivo della qualità della vita all’interno della città dove le questioni urgenti appaiono senz’altro diverse: l’inquinamento, la mobilità, il recupero, la rigenerazione urbana, la perdita di valori, la pressione speculativa.

Tokyo: vendere / abitare
La densità è ovviamente per la capitale giapponese una costante urbana ma l’esaltazione dei consumi, della vendita e dell’individualità ha generato, nelle strade più popolari del centro, lo sviluppo di una nuova tipologia edilizia legata al commercio di lusso: i “supernegozi”. Edifici-marchio che pubblicizzano la griffe di appartenenza manifestando la propria presenza nella città. Analogamente la religiosa cultura del singolo e della proprietà generano nuove e inaspettate soluzioni abitative per la casa unifamiliare. Vendere ed abitare sembrano essere le attività in grado di definire nuovi e inaspettati scenari della città. Vendere ed abitare costituiscono anche i temi di una contrapposizione che, oltre Tokyo, segna per la città contemporanea, una frattura e una lacerazione di attività vitali un tempo vicine e collegate. E se storicamente la ricchezza di una città era data dal commercio, oggi la nascita di centri commerciali, autonomi dall’abitare, distrugge la città sottraendole la linfa vitale delle attività lungo strada. Tuttavia se la città abitata ha bisogno dei negozi è altresì vero che i negozi necessitano della città; conseguentemente il mercato, con la rapidità che è connessa con l’avidità delle regole economiche, ha  immediatamente reagito sviluppando, all’interno di centri commerciali, dei surrogati di città, anzi essi stessi la dissimulano organizzandosi per strade e piazzette, finte facciate e borghi che altro non sono che la finzione dell’immagine urbana, il cartoon di cui il commercio si serve per vendere. Evidentemente occorre tornare ad un più sensato rapporto e riscoperta del valore dei negozi di vicinato, e comprendere che il “mall” non è altro che l’adattarsi del commercio alle necessità della mobilità su gomma per cui il finto borgo medievale, tanto a Dubai, quanto a Serravalle in Italia, altro non è che un parcheggio multipiano sormontato da negozi che si fingono città svuotando di attività commerciali quella autentica. Da questo punto di vista il caso di Tokyo è diverso poiché, grazie alla sua straordinaria rete di metropolitane, centro commerciale e centro urbano finiscono per coincidere anche se la potenza del commercio tende a fagocitare, in alcune zone, ogni altra forma di abitabilità della città.

Berlino: costruire / costruire sul costruito
I vuoti lasciati dalla presenza del “muro” hanno aperto un lungo dibattito sulla città e il suo disegno. Berlino ha proposto di costruire sul già costruito, un metodo antico secondo cui le città si sono sovrapposte e stratificate verticalmente sostituendo edifici con altri costruiti sullo stesso sedime, sulle stesse fondazioni, con le medesime pietre provenienti dalle demolizioni. Probabilmente il tema della memoria e della nostalgia hanno inciso sulle decisioni e sulle scelte urbane dove molti dei nuovi interventi, assumono il senso di un gesto riparatore che riproduce il filo della continuità interrotto dalla brutalità della guerra. Il meccanismo della rendita fondiaria e della valorizzazione ha spesso costretto a moltiplicare il suolo e lo sviluppo verticale degli edifici, tuttavia permane nell’azione di ricostruzione il senso di una permanenza a cui la città non può rinunciare. Inoltre deve essere considerata come condizione generale di ogni città e ogni paesaggio, urbano e rurale, il valore del suolo dal punto di vista ambientale, considerando il territorio naturale come una risorsa non riproducibile di cui si deve ostinatamente difendere l’integrità. Ciò non significa inibire ogni nuova attività edificatoria ma sviluppare politiche di gestione e governo del territorio che incentivino le attività di costruzione come modificazione e trasformazione di suoli già utilizzati in precedenza. Tale strategia produce ovviamente fenomeni di densificazione della città esistente che, se controllati, non possono che risultare salutari riducendo le esigenze di mobilità e i costi sociali legati al traffico e agli spostamenti che la cultura urbana della rarefazione e della crescita estensiva hanno prodotto e producono.

Graz: arte / architettura
Storicamente arte e architettura sono sempre state strettamente unite da un unico destino urbano legato alla presenza dei monumenti. La modernità, nella sua dogmatica finalizzazione dell’azione progettuale e nella risposta ai bisogni e alla funzionalità dell’abitare, ha spesso allontanato la ricerca estetica ed espressiva dalla città aprendo nel corso del ventesimo secolo un vuoto difficile da colmare. A Graz una felice alternanza di nuovi interventi, come l’eccezionale edificio di Peter Cook, e istallazioni, come l’opera fluviale di Vito Acconci, avvicinano all’interno di un medesimo spazio ambiti espressivi allontanati dalla zonizzazione e dall’incuria urbana. Più in generale una rinnovata competitività tra città, oltre la necessità di operare uno politica di marketing urbano visibile e comunicabile internazionalmente, ha re-introdotto il tema dell’eccezionalità, dello straordinario, dello stupefacente e dell’iconicità di nuovi spazi o edifici che si servono indifferentemente tanto dei linguaggi dell’architettura tanto dei codici espressivi propri delle arti figurative. Tuttavia è insensato e innaturale affidare all’architettura tutta la responsabilità dell’immagine urbana poiché ciò induce negli architetti una sindrome per la quale ogni edificio debba necessariamente essere considerato un monumento o un oggetto intriso di una propria “visibilità”, rinunciando a quella pacatezza e a quella normalità di cui la città necessità onde poter riconoscere le proprie emergenze architettoniche. Per rispondere a queste esigenze la città d’oggi deve tornare ad utilizzare le arti figurative nella loro dimensione contemporanea come un’opportunità per far fare all’arte ciò di cui essa è capace e che le è proprio, integrandola con l’architettura della città ma lasciando a questa l’opportunità di realizzarsi in modo civile; per questa via l’obelisco è un obelisco, l’edificio è un edificio e i tentativi di ibridazione tra i due modelli, l’edificio obelisco, possono essere scoraggiati.

Milano: memoria / invenzione
La “torre Velasca”, edificio simbolo di un pensiero, di una poetica e di una idea di architettura sostenuta culturalmente dal suo autore, ha segnato nella storia del ventesimo secolo una virtuale frattura con i dogmi della modernità, riannodando la catena evolutiva della città dei fatti urbani e riaffermando con essi il valore della memoria. Memoria e invenzione sono aspetti inscindibili di qualsiasi architettura e conseguentemente di ogni città, un’opportunità per abitare senza abbandonarsi rispettivamente all’oblio o alla nostalgia, esse rappresentano tanto il superamento delle ipotesi del moderno quanto di istanze storiciste post-moderne. Alla città non è concesso di dimenticare se stessa per rincorrere il futuro, né di vivere perennemente rispecchiandosi nell’immagine imbalsamata del proprio passato, questa è l’esigenza del presente. Viceversa alcune città d’arte, su pressante richiesta delle attività e dei commerci legati al turismo, vengono sospese in una dimensione antistorica che le congela nel proprio passato impedendole di modificarsi. E più la città rimane ancorata alla propria immagine ed alla propria storia, più la città si inaridisce perdendo abitanti. Ciò è connesso anche alla rendita di posizione ed è un caso tipico di città come Venezia o Firenze ma anche Milano, dove gli abitanti delle aree pregiate vendono a prezzi molto alti le proprie residenze per ricomprarle fuori dal centro a prezzi più bassi inducendo una conseguente perdita di vitalità dei contesti più antichi e consolidati. Una politica di contrasto di questi fenomeni è possibile e facilmente perseguibile imponendo che, negli interventi di ristrutturazione edilizia e restauro urbano, una quota parte dell’edificio recuperato sia destinata ad edilizia sociale. Per fare ciò in ogni caso è necessario trovare un giusto equilibrio tra la necessità di conservazione dei beni architettonici, e con essi della città storica, e l’esigenza che la città possa comunque modificarsi; i danni indotti da regimi eccessivamente vincolistici sono infatti a lungo andare comunque rilevanti.

Barcellona: straordinario / quotidiano
Una città costituita interamente da monumenti, da oggetti straordinari e stupefacenti risulta evidentemente inabitabile perché ostile allo svolgersi della quotidianità, al contempo una città totalmente virata sull’ordinarietà può risultare anonima e inospitale, riluttante e priva di una propria specifica immagine o iconografia comunque divulgabile. Da oltre venti anni, a cavallo tra due secoli e due diversi millenni,  Barcellona ha saputo combattere l’uniformità e la densità edilizia di un’impostazione urbana, tanto rigorosa quanto ripetitiva, attraverso il disegno di ogni spazio libero a terra; un programma ambizioso fatto di riqualificazione dei vuoti e conseguentemente dello spazio pubblico sotto forma di strade, piazze e giardini. Contemporaneamente la ricerca di particolari occasioni è stata celebrata con la realizzazioni di emergenze tanto necessarie quanto puntuali. La torre, l’edificio alto, come nel caso del progetto di Jean Nouvel per la torre Agbar, non costituisce una inutile ostentazione e concessione al verticalismo, quanto la necessità di segnare un punto particolare della città per renderlo significativo e riconoscibile anche a grande distanza.
In questa dimensione l’eccezionale diventa utile, lo straordinario quotidiano, il monumento necessario, la città intelligente.

Amsterdam: omogeneo / disomogeneo
Le esigenze abitative e di trasformazione urbana richiedono spesso interventi di grandi dimensioni che si sovrappongono ad una struttura urbana solitamente più minuta e suddivisa da centinaia di anni di parcellizzazione fondiaria dei suoli. Grandi complessi omogenei legati il più delle volte all’edilizia sociale mettono in scena una grandezza urbana il più delle volte sconosciuta. Per questo gli esperimenti di frammentazione e variazione di complessi edilizi, pur all’interno di interventi unitari, costituiscono il risultato di una sperimentazione efficace e riproducibile. La misura della “misura conforme”. Amsterdam ha sperimentato entrambe le dimensioni, quella unitaria e quella frammentata, potremmo dire con uguale successo, anche se interventi come l’unità residenziale del Borneo, caratterizzato da una sequenza alternata di case progettate ognuna con la propria individualità, dimostra con evidente chiarezza l’importanza della diversità e della variazione dei manufatti edilizi all’interno della città. Dimostra inoltre che tale variazione è ancora più efficace se nasce sulle regole comuni di un masterplan che fissa gli ambiti e le opportunità di una diversificazione che non ingenera il caos della città moderna bensì il suo contrario: non edifici tutti uguali disposti casualmente sul territorio, ma manufatti diversi e disomogenei nelle soluzioni architettoniche e formali che si armonizzano coerentemente nelle altezze o nei caratteri insediativi secondo uno studiato progetto urbano.

Merida: classico / anticlassico
Nella civiltà occidentale e in particolare nella vecchia Europa classico e anticlassico, nell’accezione del moderno, si fronteggiano o, più spesso, quest’ultimo, sottoforma del risultato delle espansioni urbane più recenti, circonda e soffoca il primo. Ma tra classicità e modernità non può esserci oggi contrapposizione poiché entrambe appartengono, rispetto alla contemporaneità, al contributo della storia rendendo visibili, e quindi iconiche, contrapposizioni che appartengono al passato. Il presente non può schierarsi né per il XX secolo né per i contributi dei secoli precedenti: la città di oggi è multietnica e multiculturale. Così le categorie del classico e del suo opposto, come il valore della memoria e dell’invenzione, non costituiscono che due facce contrapposte della stessa medaglia: il progetto di architettura.

Bilbao: pianificazione / opportunità
Molte città contemporanee colgono l’occasione di importanti eventi culturali e sportivi per attivare finanziamenti in grado di consentire trasformazioni urbane sostanziali. Tuttavia tali opportunità possono essere sfruttate efficacemente solo se sussiste una strategia complessiva di rinnovamento programmata con attenzione e una politica di riqualificazione condivisa tanto sul piano interno quanto su quello internazionale. Significa inoltre che pubblico e privato non possono non risultare che entità interdipendenti che si muovono coerentemente con le decisioni di governo del territorio. Milano assumendosi il compito di ospitare l’Expo 2015 ha l’opportunità di dimostrare come un evento occasionale, al pari dei giochi olimpici o di altri grandi manifestazioni che coinvolgono il tessuto, l’immagine e la consistenza della città, possa diventare il volano di un rinnovamento complessivo in grado di cambiare e migliorare la qualità di vita dei propri abitanti. Inoltre Milano può comprendere dall’esempio di altre città quali Bilbao, al di là e oltre il “monumento Guggenheim”, che non esiste rinnovamento senza programmazione. Il museo non è stato realizzato casualmente nella città basca ma è stato il risultato di una precedente politica di trasformazione tendente a modificare la città da sito industriale a città post-industriale, inoltre il museo, pur essendo “l’objet extraordinaire” che tutti conoscono, non è altro che la punta dell’iceberg di una strategia progettuale più ampia che continua ancora oggi a realizzarsi.

Porto: pieni / vuoti
Il tessuto urbano ancorché consolidato possiede una sua intrinseca vocazione al progetto, alla continua trasformazione. Ciò è evidente nelle zone di riammagliatura del tessuto urbano lacerato, nel recupero e utilizzo degli infinitesimi spazi interstiziali la cui sommatoria costituisce una incredibile quantità di nuovo suolo abitabile, ma è ugualmente percepibile nelle zone ad alta densità e storicità da adattare alle esigenze della fruibilità contemporanea. Pieni e vuoti definiscono l’assieme urbano dove pubblico e privato affermano la propria inscindibile coabitazione. Il lavoro che ogni città può compiere nel monitoraggio e nella classificazione dei valori inespressi della città, in termini di suolo e di opportunità, costituisce il centro di una politica di interventi puntuali la cui risoluzione e il cui valore deriva dal loro insieme. Questo è l’ambito specifico nel quale il progetto di architettura diviene indispensabile strumento di trasformazione e rinnovamento urbano, l’unico possibile all’interno della città consolidata.