area 120 | Beirut

Former City Centre Complex built by Philip Joseph Karam in 1965

Nicola Santini: Lei è l’autore di numerosi saggi e studi sulle trasformazioni urbane vissute da Beirut e sul recupero del centro città. Qual è la sua opinione in merito alla ricostruzione di Solidere?
Robert Saliba: Vorrei andare oltre alla polemica che accompagna Solidere fin dagli inizi. Negli ultimi dieci anni infatti, le critiche hanno riguardato principalmente l’assenza di varietà sociale all’interno del centro; si è detto che Solidere sarebbe stato un luogo per ricchi, per turisti del Golfo, un luogo da cui gran parte della popolazione di Beirut sarebbe stata esclusa. Se si considera il veloce e costante aumento dei prezzi degli immobili tuttavia, non sarà solo il centro ad essere ad esclusivo appannaggio dei ricchi, l’intera città si sta “borghesizzando”. In questo senso, Beirut non è molto diversa da New York o Parigi. Non abbiamo mai avuto un piano per la costruzione di alloggi di edilizia sociale; Beirut è in balia delle forze di mercato, dentro e fuori Solidere. È molto difficile trovare appartamenti di piccole dimensioni ad un prezzo abbordabile in città; la nuova generazione si sta spostando verso la prima periferia e oltre, Beirut si sta così ampliando senza seguire alcun piano regolatore. Un’altra delle critiche mosse solitamente riguarda la perdita dell’identità storica della città, ma Beirut non è Damasco né Il Cairo; il suo nucleo medievale era stato già raso al suolo e modernizzato dagli ottomani e dai francesi agli inizi del ventesimo secolo. Beirut non è una città divisa in due, con un centro storico e una parte moderna che convivono, fianco a fianco; il nuovo è stato sovrapposto al vecchio già un secolo fa. Quello che rimane in superficie appartiene al periodo coloniale e rappresenta la parte moderna, il resto, quello che è nel sottosuolo, sono reperti archeologici. Beirut è una città stratificata che subisce il fascino della modernità; è frutto del recente periodo coloniale francese, nata come “porta d’ingresso” della regione. Ecco qual è la sua identità. Se, spinti da un certo romanticismo, volessimo dare uno sguardo alla Beirut pre-coloniale, potremmo visitare il centro storico della vicina Tripoli, di Sidone o Damasco.
N.S.: Ritiene quindi che ciò che sta accadendo nel centro di Beirut, stia avvenendo anche nel resto della città, ma su diversa scala, ovvero in scala ridotta?
R.S.: Coesistono a Beirut due diversi sistemi di pianificazione: uno di tipo “aziendale”, che è quello di Solidere, l’altro è il vecchio sistema burocratico che si applica al resto della città. Un sistema è flessibile e ben coordinato, l’altro è statico e intralciato dall’inefficienza della burocrazia; entrambi seguono il mercato. Nel primo caso ci si rifà a un masterplan recente, che si cerca di modificare di volta in volta adeguandosi alle esigenze del mercato; nel secondo caso il sistema è soggetto a un piano generale di zonizzazione, risalente agli anni cinquanta. Il periodo d’oro per la progettazione civica e la pianificazione urbanistica è stato quello coloniale, ottomano prima e francese poi, a partire dall’indipendenza infatti, l’urbanistica si è solamente occupata di risolvere il problema del traffico e di ottimizzare l’espansione edilizia sia nel centro della città che fuori, una situazione che perdura a tutt’oggi. Se è stato possibile preservare, all’interno di Solidere, parte del tessuto urbano è perché si è trasferito parte del diritto di costruire in altezza dal centro città alla nuova area ricavata dalla bonifica del mare. Una situazione che tuttavia è difficile da ricreare al di fuori di Solidere; tutte le strutture risalenti al periodo coloniale saranno dunque ben presto sostituite da grattacieli.
N.S.: Cosa pensa del fatto che gran parte della vita sociale non si svolga in centro città ma in altre zone come Hamra e Gemmayzeh?
R.S.: Bisogna tener presente che altre parti della città non sono state completamente distrutte durante la guerra e quindi ricostruite a partire da zero, come avvenuto per il centro. In molte parti della città, gli abitanti sono rimasti gli stessi di prima della guerra. Penso che quella che lei definisce “vita sociale” (in realtà, non ho capito con precisione cosa intenda per “vita sociale), si svolga sia a Solidere che altrove, solo in modo differente.
In centro, il tutto si svolge all’interno di specifiche comunità chiuse, come Saifi, il distretto di conservazione, i nuovi souk, tutti luoghi esclusivi. Ogni città ha bisogno del proprio luogo esclusivo, della sua Fifth Avenue o i suoi Champs- Élysées.
La Zaitouni bay sta diventando una delle attrazioni principali per tutti gli abitanti di Beirut (sia quelli pro che quelli contro Solidere), per tutti quelli che amano gli spazi pubblici di qualità, quegli spazi che non esistevano più dalla ristrutturazione in stile Haussman della città, avvenuta negli anni venti e trenta. Spostandosi in periferia, Gemayzeh attrae
i giovani alla moda e gli yuppy; durante il giorno la zona è molto tranquilla, la “vita sociale” è ridotta al minimo rispetto al periodo pre-bellico; anche qui si assiste ad un imborghesimento dell’area così come avviene a Saifi e in tutta Beirut. Il fenomeno più interessante rimane la rinascita di Hamra e di tutto il distretto che circonda l’Università Americana di Beirut, istituzione che ha sempre funzionato da catalizzatore, garantendo una maggiore varietà sociale e un’atmosfera cosmopolita. L’area del campus è l’unico melting pot rimasto in città (anche se si tratta di un melting pot costituito esclusivamente da mussulmani e cristiani dell’alta e media borghesia). La vita a Beirut non si svolge veramente né in centro, a Solidere, né nelle aree circostanti il centro, come Hamra, bensì in periferia. Ecco di cosa avrebbe dovuto occuparsi il suo articolo: del centr(o) sostituito da più centr(alità).

Robert Saliba is  Associate Professor of Architecture, Urban Design and Planning at the American University of Beirut. He holds a Master Degree in Urban Planning from The University of Michigan-Ann Arbor (1980), and a PhD in Urban and Architecture History from the University of Paris VIII (2004). He is the author of Beyrouth Architectures: aux sources de la modernité 1920-1940 (Parenthèses, 2009); and Beirut City Center Recovery: The Foch-Allenby and Etoile Conservation Area (Steidl, 2004). Saliba is the recipient of the British Chevening Scholarship for Post Graduate Research (96-97), and was a visiting professor in urban design and postwar reconstruction at the the Department of Architecture, Technical University of Damstadt, Germany (spring term 2011). He acted as a land use planning consultant for international organizations such as the World Bank and UN-Habitat.  He also worked as City Planning Associate at Community Redevelopment Agency of the City of Los Angeles (1980-83).