area 120 | Beirut

Beirut è il prodotto di una sovrapposizione di differenti principi insediativi: Fenicio, greco-romano, bizantino, arabo, medievale, ottomano e Francese. Essi fanno riferimento a diversi assi che configurano nel tempo l‘evolversi della sua matrice urbana. Su questo schema originario si struttura l‘agglomerato nei due millenni successivi. Ad un certo livello di sviluppo la forma della città assume la configurazione radiocentrica propria della città Haussmaniana. Tra distruzioni, ricostruzioni e dominazioni, la città cambia continuamente volto. Ad ogni devastazione e riedificazione si aggiunge un velo che contribuisce a togliere alla città il suo aspetto originario. Volto che, nonostante i numerosi “lifting”, rivela ancora sporadicamente i suoi tratti principali. Queste tracce si esplicitano in particolar modo nel cardo e nel decumano romano che continuano a sostanziare la trama urbana come segni, stratificazioni e limiti.
Queste direttrici, già dalla metà del diciannovesimo secolo, hanno costituito la struttura sulla quale si sono insediate le centralità religiose educative che hanno dato origine ai diversi quartieri periurbani. Nonostante la sua ricca storia romana, Beirut non ha mai avuto un importante centro storico con un suo sviluppo moderno, come Tripoli o Damasco. Il suo centro medievale è stato distrutto durante il periodo ottomano e ricostruito nell‘epoca del mandato francese senza tenere in considerazione la relazione tra il centro storico e il suo insieme ma solo consolidando le infrastrutture di trasporto marittimo e terrestre.
L‘intervento urbano del mandato francese si è imposto sulla struttura originaria ed ha introdotto “una strategia di pianificazione che segue una stretta gerarchia stabilita secondo criteri di appartenenze confessionali”.
Tra una strategia pianificativa ed una insediativa la città si è costituita per giustapposizione e sovrapposizione di spazi dove l‘omogeneità è soprattutto confessionale e riguarda zone circoscritte che interrompono il tessuto urbano. Queste aree detemineranno, lungo il processo di sviluppo urbano, una delle caratteristiche principali della forma urbana di Beirut: la “struttura a grappolo”. Questo assetto configura la città per zolle, o sub-formazioni, chiuse su se stesse, sconnesse tra di loro e dal tessuto urbano circostante. Nessuno dei piani urbani prodotti sino ad oggi è riuscito a creare un‘osmosi tra queste aree e il resto dell‘abitato, a cominciare dal piano Danger del 1932. Questo piano non è riuscito a mettere in equilibrio né la ripartizione confessionale né quella funzionale di ogni settore. Ha considerato piuttosto le zone peri-urbane come villaggi autonomi. E si è concentrato sullo studio dei maggiori assi di circonvallazione. Il continuum urbano viene affettato dalla maglia infrastrutturale e frammentato dalla struttura a grappolo. Le centralità religiose ed educative si sono imposte come affermazioni della dominazione coloniale e come poli centrali di settori specifici denominati mahallat5. Questi stabiliscono tra di loro relazioni spontanee ed implicite zonizzando culturalmente i quartieri peri-centrali quali Ashraffieh, Zokak el Blat, Basta, Ras Beirut e Hamra. La loro ubicazione strategica all‘interno del tessuto urbano e sociale rompe le relazioni tra le varie componenti della città; il Collegio dei Lazaristi in Ashraffieh o l‘esteso campus dell‘Università Americana di Beirut (AUB) ne sono un esempio.
Quest‘ultima è una parte centrale ed integrante dello sviluppo del quartiere Hamra, ma allo stesso tempo interrompe ogni sua relazione con il mare.
Tali settori o mahallat costituiscono le sub-unità della struttura a grappolo. Con la loro non appartenenza alla città ma al quartiere, diventano un luogo limite, generatore del proprio sviluppo urbano, sociale, educativo e politico, circoscrivendo e limitando l‘aspetto funzionale di brani di città. Con l‘indipendenza inizia il processo di trasformazione più consistente della storia urbana di Beirut. Sia il piano di Ecochard, sia i progetti di modernizzazione detti “riforme shehabiste”, sono interventi di natura prevalentemente infrastutturale: viali, rettilinee di collegamento, il lungomare, l‘estensione del porto commerciale, la costruzione dell‘aeroporto, la stazione-parcheggio dei Taxi-Bus Charles Helou e le aree industriali. “Beirut è super-imposizione, non sovrapposizione, ha una storia di super-imposizioni: modernità su modernità”.
Le nuove infrastrutture costituiscono un‘ulteriore super-imposizione e rafforzano la struttura a grappolo della città: innestate sul tessuto urbano attraverso la demolizione di intere fette di abitato, la sezionano frammentandone l‘antica continuità, recidono la fitta trama di connessioni interne, consolidano “la separazione tra aree confessionali” ed affermano l‘assoluta supremazia della logica viabilistica di matrice modernista. La trama urbana ne rimarrà segnata in modo indelebile sino ad oggi.
L‘avenue Beshara El Khoury, tagliando i quartieri di Mazraa e Ghobeiry in due parti ne è un esempio.
Oltre alla maglia infrastrutturale, Il piano l‘SDRMB11 si focalizza sulla connessione tra le nuove centralità con la città municipale tramite un pesante sistema infrastrutturale viabilistico detto a “pendolare”.
Il piano SDRMB propone inoltre di creare un corridoio verde che recupera i grandi spazi isolati lungo tutta la ex-linea di demarcazione. Un sistema verde dinamico che avrebbe dovuto riconnettere tutti i quartieri confessionali urbani: dalla zona sud contigua all‘aeroporto alla piazza dei Martiri in centro città, passando per poli ibridi importanti lungo la ex-linea di demarcazione. Purtroppo questo piano non viene portato a termine, sia a causa della guerra civile che per la configurazione socio-politica contingente. A quasi trent‘anni di distanza, la municipalità rilancia la sfida e ristudia questo sistema verde, iniziando con l‘individuazione di uno strumento legislativo che permetta al Comune l‘acquisizione di terreni ed immobili di importanza strategica, che permettono ad esempio l‘acquisto di Villa Barakat. Questo edificio storico, chiamato oggi Beit Beirut, sarà il futuro museo della città e della sua memoria.
Se la visione urbana della municipalità mira ad una strategia di riconnessione, allo stato attuale il centro-città si configura oggi come insieme sconnesso dal suo intorno. Nella struttura urbana a grappolo della capitale, il centro costituisce la sub-formazione dimensionalmente più estesa, storicamente più densa e urbanisticamente più pianificata della città. Quest‘area, delimitata dall‘infrastruttura viaria del ring commerciale da un lato e dal mare sull‘altro lato, contiene la storia di Beirut dalla sua fondazione ad oggi. La società Solidere si occupa dagli anni ‘90 della sua ricostruzione e pianificazione. Come per le altre sub-formazioni o mahallat, anche qui si riscontrano le stesse peculiarità: omogeneità interna, configurazione circoscritta e mancanza di connessioni con il tessuto urbano circostante. Anche in questo caso la sub-formazione, con i suoi 184 ettari di suolo, costituisce un elemento di forte interruzione e disconnessione del tessuto urbano. Ma a differenza di altri settori, questo presenta una notevole complessità interna dovuta alla ricchezza di stratificazioni e di episodi urbani che l‘hanno storicamente caratterizzata. Con i recenti interventi di Solidere si aggiunge un ultimo velo che conferisce un‘uniformità diffusa al volto urbano del centro. Prerogativa dovuta alla presenza di un unico soggetto privato nella gestione di un piano così complesso ed esteso.
Ma cio‘ che succede a grande scala nel “Central District”, accade in scala miniaturizzata in tutta la città: lo stato delega all‘iniziativa privata i processi decisionali delle trasformazioni della città. Dalla scala architettonica alla scala urbanistica, interessando interi isolati, quartieri e vaste aree urbane come il caso del centro città ma anche di Haret Hreik, quartiere nell‘area denominata Dahiye, colpita dai bombardamenti della guerra del 2006 e immediatamente ricostruita. “Il Centro Città e Haret Hreik sono abbastanza comparabili. Entrambi i progetti sono iniziative private, in cui lo stato delega al settore privato decisioni sul futuro della città.”
Il “central district” si configura infine come un‘isola di tessuto urbano formale all‘interno di un continuum caotico, in una contrapposizione evidente tra città pianificata e caos urbano. Il limite tra questi due ambiti costituisce la zona di discontinuità sulla quale la municipalità sta attualmente lavorando per elaborare una strategia condivisa con Solidere che miri ad una reintegrazione del centro con il suo immediato contesto. Il piano punta su tre sistemi urbani principali: l‘anello Fouad Shehab attorno al centro, il corridoio verde – di cui sopra – esteso fino a piazza dei Martiri e il primo bacino dell‘attuale porto turistico. La mancanza di controllo sulle trasformazioni urbane produce una crescita disordinata e anarchica diffusa su tutto il territorio. Rimane aperta la questione se saranno gli strumenti di pianificazione o le dinamiche spontanee di sviluppo urbano i fattori che assicureranno una qualità urbana soddisfacente e diffusa. Il centro si configura infine come la parte di città più pianificata in assoluto, in contrapposizione al tessuto circostante caratterizzato da una frammentazione progressiva e da una vibrante diversità. Come nel caso di Hamra, altra sub-formazione nell‘arcipelago delle pluricentralità di Beirut che si configura come un ecosistema urbano caratterizzato da una vibrante diversità culturale, religiosa e politica. Diversità rintracciabile già dagli anni cinquanta nella presenza delle numerose sale cinematografiche nel quartiere, luoghi di eterogeneità confessionale e aggregazione sociale. “Penso che principalmente sia Hamra ad essere rinata come sub-centro alternativo caratterizzato da un interessante mix culturale e commerciale, perché penso che il resto di Beirut sia stato gentrificato. […] Solidere sarà un importante esempio per le altre città nella regione. Cosa fare e cosa non fare. È come imparare da Las Vegas...imparare da Solidere.”
Il centro città e Hamra offrono un‘occasione di riflessione sulle prossime evoluzioni della capitale libanese. Per poter immaginare la futura Beirut, bisognerà imparare da Las Vegas o da Hamra?