area 127 | identity of the landscape

architect: Archea Associati

location: San Casciano Val di Pesa, Florence, Italy

year: 2012

Il nuovo progetto non poteva essere considerato come la costruzione di una nuova sede o la realizzazione di un nuovo Palazzo Antinori o di una nuova fortezza ammattonata ancora memore di una non richiesta urbanità, piuttosto, l'interpretazione, attraverso l'architettura, di un paesaggio straordinario: il Chianti Classico.
Non un edificio quindi, ma una parte di territorio, non uffici e stabilimento produttivo racchiusi in un manufatto più o meno appariscente, quanto la volontà trasmessa dalla committenza agli autori del progetto architettonico di individuare un nuovo modo per abitare e vivere nella terra in continuità con una tradizione che ha nella “cantina” non soltanto una denominazione dettata dalle consuetudini, ma il toponimo di un luogo che proprio dalla terra trae la propria energia vitale e produttiva. L’architettura, nell’interpretare la natura come fabbrica di energia, essenza del paesaggio, anima dei luoghi e quindi delle attività umane riconosce, attraverso il suo compiersi, il primato delle risorse naturali e quindi dell’ambiente quale fonte e fine di ogni agire e di ogni concepimento. Con ciò non vi è contrapposizione tra il costruire e la natura, ma un medesimo obiettivo che concorre alla realizzazione di uno stesso disegno e cioè, abitare la terra in armonia con ciò che vi è attorno attraverso comportamenti che non ricercano la mimesi ma la comprensione, non l’intransigenza della rinuncia ma la possibile coesistenza tra ciò che ci è dato e ciò che dobbiamo fare per meritarlo. Il progetto e la conseguente opera, letta secondo queste aspirazioni, permette di guardare agli attori del processo di trasformazione del territorio con una rinnovata fiducia perché mostra la via di un ricercato equilibrio tra le necessità di tutela di ogni patrimonio derivato dall’esistente, sia esso naturale che storico-architettonico, e le esigenze di una società che sviluppa le proprie idee e soddisfa i propri bisogni attraverso azioni consapevoli, altrimenti definite sostenibili.
Si spiegano in questi termini l’accettazione e la volontà di realizzare una proposta che ha previsto la realizzazione di oltre cinquecento metri di strade interrate, di parcheggi di sosta, tanto delle auto quanto dei mezzi di trasporto delle merci, completamente occultati alla vista; di migliaia di metri quadrati di aree di manovra, scarico e carico merci, oltre quindici metri al di sotto del livello originario della collina; di impianti tecnologici, dalle centrali termiche alle torri evaporative, totalmente invisibili; della copertura dell’intera superficie costruita attraverso un manto di terreno alto da cinquanta centimetri a oltre tre metri, per potervi impiantare nuovi vigneti e minimizzare il consumo di suolo. Una proposta che ha previsto l’impiego di materiali naturali, la terracotta e l’acciaio corten, oltre che di cementi pigmentati nelle tonalità delle terre; l‘utilizzazione del pendio – condizione ovviamente più costosa e complessa per un impianto produttivo – per poter produrre per gravità (senza l’utilizzo di pompe e quindi di energia) la movimentazione del prodotto nella fase di fermentazione e maturazione; l'utilizzazione altresì dell’energia, cioè del fresco prodotto naturalmente dalla profondità della terra, per climatizzare i grandi spazi voltati dedicati alla barricaia e alla tinaia; l'utilizzazione della terra naturale in grandi spessori e peso, anziché di materiali di produzione corrente, per coibentare ed isolare termicamente ogni ambiente; la realizzazione di enormi sbalzi per proteggere, attraverso l’ombra, l’irraggiamento delle necessarie parti vetrate concepite non solo per portare la luce all’interno dell’edificio ma soprattutto per portare le vigne e la terra a contatto diretto con gli spazi abitati e visitabili della cantina.