area 103 | Paris

L’invito a svolgere alcune considerazioni sulla riproposizione della cancellata storica, la Grille Royale, nel Castello di Versailles, disegnata da Jules Hardouin Mansart alla fine del XVII, per separare la Cour d’Honneur dalla Cour Royale, offre lo spunto per alcune riflessioni sintetiche sullo stato della disciplina del restauro in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Appare opportuno considerare quale alveo teorico da cui partire per svolgere tali considerazioni quello che si è sistematizzato, sviluppato e differenziato a seguito delle elaborazioni teoriche di Cesare Brandi, Roberto Pane e Renato Bonelli, che vanno sotto il nome di “restauro critico”. L’assunto da cui sembrano essere partiti i conservatori francesi nel riproporre la cancellata, ripristinando forma e materiali originari desunti dalle notizie icnografiche e iconografiche raccolte, è quello che nella storia della teoria del restauro viene inquadrato come “restauro storico” e che in Italia ha avuto seguito tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900. Esso si sviluppa a partire dalle informazioni che consentono di riproporre, con dati certi, forme e materiali progettati, ma non realizzati, oppure riproporli in quanto andati perduti, come nel caso della Grille Royale. In tal caso diremmo che il ripristino della storica cancellata “com’era dov’era”, realizzata con rigore formale e con l’utilizzo dei materiali storici riproposti, appare come una riproposizione teorica anacronistica. La pratica del ripristino, o la riproposizione, quanto più aderente possibile al testo originario, perseguita, peraltro, in Italia, da un raffinato storico dell’architettura e restauratore qual è Paolo Marconi, è invalsa nei paesi del Nord Europa, come si può ben notare attraverso l’osservatorio della Lista dei Monumenti e dei Siti inseriti nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. In Russia, ad esempio, è consuetudine ridorare le cupole delle chiese storiche ortodosse, ritinteggiare le murature in mattoni, nonché riproporre integralmente pavimenti, decori e arredi in alcune residenze imperiali danneggiate durante la seconda guerra mondiale. A Vilnius, capoluogo della Lituania, per celebrare degnamente la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2009, fra gli altri eventi, è stato integralmente (ri)costruito il perduto Palazzo Reale, nel sito dietro alla Cattedrale. Anche in Oriente, in Cina, ad esempio, la pratica del ripristino è largamente diffusa; pure la Grecia non è esente da tali pratiche: basti osservare i recenti interventi sul Partenone e sui Propilei, nella Acropoli di Atene, e i ripristini fatti nell’area archeologica di Epidauro. Tuttavia, dovendo confrontare l’operazione francese con alcune nostre, non possiamo ignorare le diverse sfaccettature che contraddistinguono il panorama del restauro in Italia negli ultimi venticinque/trent’anni che, seppure in generale più consono agli indirizzi del restauro critico dei teorici sopra citati, offre taluni esempi in controtendenza quali ad esempio la riproposizione “com’era dov’era” di due teatri storici il cui interno, e la copertura, era andata perduta a seguito di un incendio, la Fenice di Venezia e il Petruzzelli di Bari; mentre nel caso del Carlo Felice di Genova, Aldo Rossi progetta e realizza, in aggiunta, una “smisurata” torre scenica, invece risulta più “adattata” e consona quella della Scala di Milano, a seguito dell’intervento di Mario Botta.

view of the main gate of the "Grille Royale" - photo by Pietro Savorelli

Sembra che in alcuni importanti casi, a eccezione di taluni esempi “minori” di cui peraltro vi sono non pochi esempi, in Italia si perdano occasioni storiche come quella che ha invece saputo cogliere Norman Foster nel progettare l’intervento al Reichstag di Berlino, pur in altro contesto e in un clima culturale, particolare per fermenti e potenzialità. E se anche la prevalenza del contesto condiziona le proposte, come nei casi di Venezia e di Bari, ciò non toglie che, pur rispettando tale assunto, non si possano riproporre integrazioni con nuovi testi che dialogano e rispettano il contesto medesimo. A riguardo, andrebbe rivalutata e riconsiderata, per l’originalità di alcune soluzioni allora progettate, tutta la casistica dei cosiddetti “restauri di necessità” operati, in Italia, nel dopoguerra, tra la metà degli anni quaranta e i primi dei cinquanta del secolo scorso. Si è passati da una concezione crociana e giovannoniana del restauro che ha supportato, in Italia, l’urbanistica del ventennio fascista (il Monumento isolato, mediante “diradamenti” del contesto informe e opprimente, il più delle volte costituito da stratificazioni e superfetazioni medievali e rinascimentali che avevano conformato i luoghi come, a Roma, nell’edificato un tempo cresciuto sull’attuale sede di Via dei Fori Imperiali, nella Spina dei Borghi, in piazza Montanara ai piedi dell’Ara Coeli, in piazza Augusto Imperatore, ecc.), al concetto di conservazione integrale, sviluppatosi negli anni sessanta del novecento, in cui si riconosce autenticità e pertanto interesse storico, quantomeno, se non artistico, alla cultura che ha prodotto e plasmato le diverse “materie” che compongono gli edifici dei contesti storici italiani, generalizzando il concetto di recupero a tutto il cosiddetto “centro storico” identificato dagli strumenti urbanistici nelle zone “A” di piano regolatore. Possiamo dire che, nel secolo scorso, è passata, non invano, sotto i ponti del pratico operare, l’acqua su cui hanno galleggiato le teorie delle varie carte d’Atene (1931), di Gubbio (1960), di Venezia (1964), del Restauro (1972). Sono stati realizzati, inoltre, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta dello scorso secolo, alcuni interessanti esperimenti di recupero urbano integrale realizzati da alcune amministrazioni comunali, ad esempio, a Bologna, su progetto e direzione di Pierluigi Cervellati; e a Roma, nel complesso di Tor di Nona; che peraltro sono rimasti esempi isolati e circoscritti nel tempo. Si è giunti, infine, a una concezione partecipata del restauro in cui anche i cittadini, attraverso le associazioni, manifestano la propria volontà e “orientano”, in qualche modo, le azioni pubbliche e d’iniziativa privata tramite cui si esplica la tutela ed il restauro. Nella dinamica del confronto possono capitare anche i casi in cui il “potere” decida nonostante vi sia una prevalente opinione pubblica contraria a talune operazioni di modifica e d’inserimento del nuovo nel contesto storico e storicizzato; sempre a Roma alcuni casi di questi ultimi anni, e che ancora suscitano vivaci confronti,  appartengono a tale casistica.

The "Grille Royale" designed by Jules Hardouin-Mansart in 1679, destroyed in 1794 and rebuilt in 2008 thanks to the sponsorship of the Monnoyeur group

Nei più recenti assunti teorici del restauro critico (Giovanni Carbonara, Paolo Fancelli, Gaetano Miarelli Mariani, Gianfranco Spagnesi, Benito Paolo Torsello) non ci si è sottratti al confronto con i propugnatori della teoria della conservazione (Amedeo Bellini, Marco Dezzi Bardeschi), senza tuttavia risolvere e armonizzare le posizioni più eterodosse. Le rapide e tumultuose trasformazioni di molti ambiti metropolitani, soprattutto orientali, provocano l’eliminazione d’interi brani di città storica per dare luogo a nuovi edifici dell’enorme valore immobiliare, alcuni griffati da qualche sapiente “archistar” internazionale. Appare pertanto di particolare attualità la riconsiderazione del concetto di valore materiale dell’architettura post-antica, in quanto espressione della cultura che l’ha prodotta, e la specificità di tale architettura e/o edilizia storica così come si è conformata e conservata in Europa ma, soprattutto, in Italia. In tale modo, forse, avendo ben chiaro il valore di un edificio che, se conservato nella sua integrità si “apprezzerà” sempre di più, ovvero si “deprezzerà” con operazioni che ne alterino l’originalità e l’unicità, parametri che gli conferiscono un determinato valore, secondo una scala estimativa che non è difficile elaborare. Si potrebbero così meglio indirizzare alcune scelte di restauro che, seppure reversibili, scientificamente e tecnicamente ineccepibili, non sempre appaiono coerenti con gli esiti teorici e disciplinari più aggiornati.